Julius Evola
Il Mondo (1924-1925) Lo Stato Democratico (1925) Il Sereno (1924)
Fondazione J. Evola – I libri del Borghese, Roma 2014
Ci preme segnalare una recente pubblicazione della Fondazione Evola, una raccolta di scritti giornalistici del filosofo romano intitolata Il Mondo (1924-1925) Lo Stato Democratico (1925) Il Sereno (1924), uscita da poco per Lucarini editore nella collana “I libri del Borghese” (per ordini: 06/45468600; euro 15,00). Introduzione e cura sono di Marco Rossi, valente studioso dell’Evola degli anni Venti e degli ambienti esoterici e spiritualisti dell’Italia e dell’Europa di quel periodo.
Quale l’importanza del volume? Esso sfata il falso mito che tende a ridurre il pensiero evoliano entro gli angusti, almeno per certi aspetti, confini dell’ideologia fascista, se non addirittura “nazista”. Vengono qui presentate le collaborazioni evoliane a tre testate antifasciste. La prima, il quotidiano Il Mondo, fece la sua comparsa nel 1922 grazie ad un gruppo di intellettuali liberal-democratici vicini a Giovanni Amendola. Il giornale ebbe l’ardire di pubblicare il Memoriale di Cesare Rossi, ex capo dell’ufficio stampa della Presidenza del Consiglio, che chiamava in causa il Duce per responsabilità nel delitto Matteotti. La seconda, il quindicinale Lo Stato Democratico, uscì per tutto il 1925 e fu animata dalla volontà di opporsi al fascismo che stava costruendo lo Stato totalitario, dopo che il Duce espresse la ferma intenzione di realizzare l’abrogazione definitiva dello Stato parlamentare. Infine, il quotidiano romano Il Sereno che uscì tra il 1924 e il 1925, di cui si conservano alcune copie presso il Centro Gobetti di Torino e che era afferente alla medesima area dell’opposizione liberale. Che cosa accomunava i tre periodici, oltre la scelta politica, che avrebbe potuto indurre Evola a collaborarvi?
Indubbiamente l’appartenenza di molte firme dei suddetti quotidiani agli ambienti spiritualisti e esoterici del periodo, gli stessi frequentati da Evola. Giovanni Amendola, vera anima de Il Mondo, era entrato nella Società Teosofica assieme a Decio Calvari e ad Arturo Reghini. Successivamente divenne massone e prese le distanze dalla Teosofia, pur mantenendo un rapporto costante con la sua cultura di riferimento. Per non parlare di Giovanni Colonna di Cesarò, fondatore dopo la Prima Guerra Mondiale del Partito Democratico Sociale e direttore del quindicinale Lo Stato Democratico che, assieme alla madre, Emmelina Sonnino De Renzis, fu divulgatore delle opere dell’antroposofo Rudolf Steiner. Il pensatore tradizionalista chiuse la sua collaborazione con Il Mondo il 21 aprile del 1925 e inaugurò quella con Lo Stato Democratico il 1 maggio di quello stesso anno.
Le date, in questo caso, hanno un valore significativo. Il 21 aprile si tenne a Bologna il convegno degli intellettuali guidati da Giovanni Gentile che diedero vita al “Manifesto degli intellettuali fascisti”: Ugo Spirito, Luigi Pirandello, Giuseppe Ungaretti, Ardengo Soffici, Gioacchino Volpe. Il 1 maggio comparve, invece, sulla prima pagina de Il Mondo, il “Manifesto degli intellettuali antifascisti” di cui era primo firmatario Benedetto Croce. Tra coloro che appoggiarono l’iniziativa del filosofo abruzzese nomi rilevanti quali quelli di Guido de Ruggero, Attilio Momigliano, Emilio Cecchi, Gaetano Mosca, Eugenio Montale. Evola non firmò nessuno dei due Manifesti ma, come egli stesso ricorda ne Il cammino del cinabro, il suo primo scritto politico del periodo fu pubblicato su Lo Stato Democratico. Il testo consisteva in una vera e propria “demolizione” della democrazia e dei suoi principi costitutivi. Questo scritto del 15 agosto 1925, intitolato Note critiche sulla dottrina democratica, chiarisce le ragioni della collaborazione evoliana a queste testate dell’antifascismo liberale ed esoterico. In esso si legge: “…per carità! Non essere democratico ed esser fascista sono due cose diverse!”.
Il che vuol dire che, in quell’anno, Evola ha ben chiara l’essenza più intima della democrazia, la sua vocazione catagogica, ma al medesimo tempo individua elementi dottrinari del fascismo letti come espressione del medesimo humus culturale. Un altro testo evoliano, della metà degli anni Venti, illumina le posizioni del filosofo in merito al movimento dei fasci. Si tratta di Stato, Potenza e Libertà comparso sullo stesso quindicinale il 1 maggio 1925. Qui Evola, come ricorda il prefatore: “…distruggeva le velleità di “Potenza”, in senso metafisico, spirituale e meta politico, che il fascismo presumeva di possedere” (p. 37), in quanto individuava in ogni forma di violenza il segno tangibile dell’assenza di ogni potere ideale, spirituale e superiore. Il filosofo riconosce al fascismo la capacità di aver saputo organizzare le energie provenienti dal basso, dalla massa, che erano state liberate dalla guerra. Ma Evola, proprio in forza del suo antidemocratismo, si trovava costretto a sostenere una posizione afascista e a riporre speranze esistenziali e politiche in quegli ambienti dell’antifascismo, che si erano formati alla cultura esoterica. Il riferimento alla guénoniana élite intellettuale è evidente.
Nel 1926 Evola ripropose, in uno scritto comparso su Critica Fascista di Giuseppe Bottai, le medesime argomentazioni, ribadendo che alla base dello “Stato come potenza” doveva esservi potere spirituale. Il pensatore romano aveva però compreso che l’opposizione monarchica e liberale al fascismo stava per esaurire le proprie possibilità di influenza politica. Il regime si era stabilizzato, aveva superato la crisi interna. Bisognava puntare ad una sua “rettifica” in senso superiore, nel senso di una Destra di Tradizione. Il tentativo in questione è stato dal filosofo sintetizzato sul primo numero della rivista La Torre, del 1 febbraio del 1930, nello scritto Carta d’identità: “Nella misura in cui il fascismo segua e difenda tali principi (della Tradizione), in questa stessa misura noi possiamo considerarci fascisti. E questo è tutto!”. Dopo la chiusura de La Torre, segno della impermeabilità di molti ambienti fascisti alle proposte evoliane, il filosofo proseguì ancora la sua azione educativa ed anagogica nei confronti del regime: a fianco di Giovanni Preziosi, poi dalle colonne di Diorama filosofico.
La sua filosofia del divino e dell’ordine non poteva che parlare ai pochi. Quelli sui quali però è oggi indispensabile poter contare per riprendere il cammino.