Fabrizio Giorgio
Ignis cova sotto le ceneri. Julius Evola, Arturo Reghini e l’Imperialismo Pagano
Fondazione J. Evola-L’Arco e la Corte, Roma-Bari 2022, pp. 182, euro 17,00.
La crucialità del pensiero e dell’opera di Evola nella cultura italiana (e non solo) del Novecento è ormai acclarata. L’azione culturale pervicace del pensatore romano si è fatta sentire nei campi più disparati del sapere, spaziando dalla filosofia all’arte, dalla saggistica storico-religiosa all’orientalismo. Decisamente imprescindibile, come notò Margherite Yourcenar, è stato il contributo evoliano agli studi sull’ermetismo. A far luce su quest’importante aspetto della ricerca evoliana è un nuovo volume di Fabrizio Giorgio, che intrattiene il lettore sulle relazioni del tradizionalista con il milieu esoterico della Roma degli anni Venti. Ci riferiamo a Ignis cova sotto le ceneri. Julius Evola, Arturo Reghini e l’Imperialismo pagano, da poco nelle librerie per i tipi de L’Arco e la Corte.
Giorgio è un profondo conoscitore del tradizionalismo romano, avendo dato alle stampe, qualche anno fa, il monumentale Roma Renovata Resurgat (Settimo Sigillo, 2012), studio organico inerente il pensiero e la prassi realizzativa perseguita dai maggiori esponenti della quella congerie esoterico-spirituale. Questo nuovo saggio è, in essenza, una disamina storica, biografica e intellettuale del rapporto che legò Evola ad Arturo Reghini, esoterista di primo livello, matematico di vaglia, la cui formazione era di carattere massonico-pitagorico. Uno studio, si badi, solidamente costruito su una documentazione prevalentemente d’archivio, letta con rara acribia e precisione.
Il lettore è così accompagnato all’interno del vivace dibattito che animava i circoli esoterici e tradizionalisti della Capitale nel secondo decennio del secolo scorso. Ambienti attraversati da speranze escatologiche e soteriologiche, motivate dalla convinzione di poter esercitare un’azione “magica” sul reale, fino al punto di trasformare a fondo la natura umana, liberandola dalla scorza cosale, dalla pietra grezza connotante la coscienza dell’uomo di senso comune.
Oltre a tratteggiare in dettagli sorprendenti e finora poco noti la relazione Evola-Reghini, Giorgio presenta il contributo fornito da alcune riviste alla nascita del magico “Gruppo di Ur”, del quale i due esoteristi furono animatori: «Entrambi, alla luce delle rispettive “visioni del mondo”, erano convinti che conoscere significasse, innanzitutto, dare ordine al reale, essere demiurghi». Sarebbe stato necessario, allo scopo, sintonizzare la volontà individuale, dopo aver conseguito la gnosi, al Principio. L’Uno, in tale prospettiva, si dà nel mondo visibile, lo anima dall’interno. Quindi, è necessario «conoscere la logica, le leggi delle forze intelligenti operanti in natura ed asservirle ai propri voleri per modificare le realtà dell’anima e quelle materiali». Evola e Reghini si prodigarono al fine di costituire “catene” operative in varie città d’Italia, con lo scopo di condizionare le scelte politiche del Regime fascista, “rettificandolo” (l’espressione è evoliana) in senso tradizionale e romano, «agendo perfino sullo psichismo del Capo del Governo, illuminandolo coll’ideale dell’Imperialismo pagano».
Il tentativo, inutile sottolinearlo, non sortì effetti positivi. Il fascismo, nonostante il “mattino dei maghi” di quegli anni, mise in atto nel 1929, con la stipula dei Patti Lateranensi, la propria opzione guelfa. Al contempo, come mostra Giorgio con dovizia di particolari, i rapporti Evola-Reghini andarono con il trascorrere del tempo sempre più deteriorandosi, tanto da concludersi con una rottura definitiva in sede giudiziaria. Reghini agì sostanzialmente in nome della massoneria iniziatica che avrebbe dovuto determinare la “rettifica” in senso tradizionale del fascismo. In tale contesto, aveva concordato con Evola la pubblicazione di una serie di articoli di quest’ultimo sul tema dell’imperialismo pagano, mirati a scongiurare il riavvicinamento Chiesa-Regime. Pare, inoltre, che il pitagorico fosse al corrente che l’idealista magico stesse scrivendo il volume intitolato Imperialismo pagano, pubblicato nel 1928.
Il problema di fondo è che Evola non credeva nel progetto massonico reghiniano e, per questo, si vide costretto a respingere e/o correggere scritti di Giulio Parise, orientati nel senso della massoneria iniziatica. La cosa mandò su tutte le furie il collaboratore di Ur e lo stesso Reghini. Si tentò anche una mediazione tra i due gruppi, dopo che Evola riuscì a sventare il tentativo di sottrargli direzione e proprietà del periodico, perpetrato dal duo Reghini-Parise. Si stabilì, in tale circostanza, di sospendere la pubblicazione della rivista. A quel punto, Evola fondò Krur, mentre Reghini resuscitò Ignis. Da queste testate i due continuarono a scambiarsi reciproche accuse, che li portarono a scontrarsi in tribunale.
Tale situazione determinò la marginalità politica, prodotta anche dalle divisioni interne, in cui tra il 1928-1929 venne a trovarsi il tradizionalismo romano e ciò spianò la strada ai Patti Lateranensi. Quello del “mattino dei maghi” fu «un tentativo, forse, velleitario, ma che avrebbe potuto fornire alla Nazione un novero di uomini in grado di orientare la politica italiana verso una vera Rivoluzione Tradizionale». Certo è che guardare, dalla mestizia dei nostri giorni, a quella ormai lontana stagione spirituale è sconcertante. Evola e Reghini, nonostante le differenze e le polemiche che li divisero, appaiono come giganti se confrontati con gli attuali protagonisti dell’agone politico-intellettuale.
(«Pagine Filosofali», 7 dicembre 2022)