Lo scorso ottobre l’ultimo quotidiano “comunista”, il Manifesto, ha pubblicato un pezzo, piuttosto risentito, a commento della presenza italiana alla Buchmesse di Francoforte. Il Ministro della Cultura Franceschini, a dire del cronista, non aveva avuto nulla da obiettare sulla esposizione nel padiglione italiano da lui visitato, dell’ultima edizione dell’autobiografia intellettuale di Julius Evola Il Cammino del cinabro, uscita nel 2014 in nuova edizione per le Mediterranee. Il filosofo romano veniva definito, more solito, “fascistissimo e nazistissimo”. L’episodio è ricordato da Gianfranco de Turris nella Nota introduttiva di un recente volume congedato a sua cura nella collana i Libri del Borghese, da Pagine editrice. Si tratta di J. Evola, Mito e realtà del fascismo. Scritti 1949-1964 (per ordini: 06/45468600, euro 18,00). Si tratta di un testo che raccoglie gli scritti evoliani comparsi nel secondo dopoguerra sulla stampa del “neofascismo”, in particolare tra il ’49 e il ’59 (un solo articolo è del ’64).
Marco Rossi, storico già collaboratore della defeliciana Storia Contemporanea, nell’introduzione contestualizza l’interventismo culturale del pensatore tradizionalista cogliendone le ragioni profonde e gli obiettivi immediati. La prima importante constatazione che emerge al termine della lettura, riguarda il tratto generale della collaborazione evoliana all’inchiostro dei vinti: il filosofo non era animato da alcuna intenzione nostalgica nei confronti del regime. Anzi! Suo obiettivo prioritario era impedire alla gioventù nazionale di mitologizzare acriticamente l’esperienza fascista e di esaltare la stessa personalità di Mussolini, senza coglierne limiti e naturali debolezze. Del resto, è noto che il rapporto di Evola con il regime non è mai stato di adesione piena e convinta. E’ possibile, con Rossi, individuare tre fasi di questo complesso rapporto, che consentono di sostenere, fuor di ogni dubbio, che definire il Barone sic et simpliciter fascista è assolutamente riduttivo. In una prima fase, conclusasi nel 1930 con l’esperienza de La Torre,l’esoterista mostrò di nutrire interesse per l’evoluzione del fascismo che riteneva, d’altro lato, fenomeno spurio, da cambiare dall’interno facendo leva sugli ambienti neospiritualisti. Un secondo momento fu inaugurato nel 1931 dalla collaborazione con Preziosi e Farinacci, durante il quale su La Vita italiana e Regime Fascista mise in atto un’azione di rettifica intellettuale e spirituale, mirata a far emergere nel movimento politico, scelte di indirizzo legate alla Destra di Tradizione. Infine, nel dopoguerra, come attestano gli scritti del volume in questione, sviluppò in modo articolato ed organico, un giudizio critico mirato a discriminare nel regime il vivo dal morto.
Sostanzialmente Evola rileva che il fascismo avrebbe dovuto: “…essere considerato come un punto di partenza più che come un punto assoluto di arrivo” (p. 18). Il riferimento valoriale evoliano è la Tradizione: solo una élite spirituale attiva, un nuovo Ordine, avrebbe potuto con successo contrapporsi, quale Destra rivoluzionaria (in senso etimologico), al collettivismo e al capitalismo. In questi scritti il filosofo critica duramente i limiti del patriottismo nazionalista, del ducismo e dell’hitlerismo, incompatibili con i principi organicistici (di Spann ed Heinrich) della Destra Tradizionale. Stigmatizza, con virulenza intellettuale, l’idea dello Stato totalitario: “…distinguendolo drasticamente dall’equilibrio, d’impronta trascendente, dello Stato organico tradizionale, dove le libertà individuali sono preservate e organizzate secondo rapporti di dignità e gerarchia naturale e dove lo Stato non diventa mai una specie di secondino” (p. 25). Da ciò le critiche riservate da Evola alla filosofia gentiliana, al suo storicismo capace di giustificare in nome dello spirito del tempo qualsiasi modificazione del quadro storico, nonché allo Stato etico e all’“umanesimo del lavoro”. Il filosofo, del Gentile apprezzò il sacrificio finale, perché in contraddizione con la stessa tesi storicista, che avrebbe dovuto indurre il pensatore di Castelvetrano, a passare, come molti allora, dall’altra parte della barricata.
In altri scritti Evola fa i conti con l’esperienza del corporativismo che riuscì a: “…stroncare le escrescenze teratologiche del capitalismo e della finanza senza patria” (p. 27), ma che non avrebbe dovuto condurre ad enfatizzare il problema sociale come si verificò durante la RSI. Alcuni articoli, inoltre, sono dedicati all’analisi delle incongruenze del “razzismo fascista”, titubante tra l’esaltazione nazionalistica della stirpe e l’incontro con il biologismo di matrice tedesca. A tali posizioni egli contrappose la razza dello spirito, idea tipicamente classico-platonica, centrata sulla tripartizione dell’essere umano in spirito, anima e corpo. Questa tesi evoliana colpì per originalità lo stesso Mussolini, che avrebbe voluto farne punto di riferimento dell’elaborazione teorica nazionale.
Sotto il profilo storiografico davvero rilevante è la parte centrale del volume in cui, in più articoli comparsi sul quotidiano romano Il Popolo italiano diretto da Pino Romualdi, Evola ricostruisce il periodo 1943-1944 e la sua permanenza presso il Quartier Generale di Hitler. Si tratta di testi da cui è possibile trarre notizie che consentono di integrare quanto il tradizionalista riferì ne Il Cammino del cinabro, ma di cui nessuno tra gli storici si è finora seriamente occupato. Lo spiritualista presenta, inoltre, fenomeni di costume, la superstizione di Mussolini, oppure vividi ritratti di personaggi che ebbe la ventura di incontrare sul suo percorso (Farinacci, Gentile), ma anche precisazioni dottrinarie (sul significato di Destra e Tradizione). In ogni caso, le posizioni sostenute sulla stampa periodica in quel periodo dal filosofo, trovarono organicità nel volume Il fascismo. Saggio di un’analisi critica visto dalla Destra, edito per la prima volta da Volpe nel 1964 e sono sintoniche alle tematiche trattate in Gli uomini e le rovine.
Dalle pagine del volume emerge con chiarezza che liquidare Evola con le comode etichette di “fascista” e “nazista” è riduttivo e falso. Egli non può, a rigore, essere neppure definito “neofascista”, non solo perché polemizzò con la “sinistra” interna del MSI nel mentre la destra di Ordine Nuovo, nel pubblicare i suoi scritti, prendeva le distanze dalle tesi in essi sostenute, ma in quanto l’ubi consistam del suo percorso di vita fu l’idea di un possibile Nuovo Inizio europeo. Tema quanto mai rilevante anche nella realtà storico-politica contemporanea.