È da poco in libreria una raccolta di scritti evoliani davvero importante. Ci riferiamo a Julius Evola, L’Italiano (1959-1973), edita dalla Fondazione J. Evola e da Edizioni Ritter, che raccoglie gli articoli del filosofo apparsi sulla rivista di Pino Romualdi. Va reso merito al curatore Alberto Lombardo per la sua ricerca certosina dei testi, rintracciati in diverse biblioteche italiane. Per comprendere la rilevanza del mensile di cui parliamo, è bene ricordare le parole che Evola stesso scrisse nell’articolo Destra e MSI. Cultura e programmi nel 1969: «All’Italiano si deve riconoscere il merito d’essere stata quasi l’unica rivista del MSI che […] ha dato un contributo valido nel senso di quella che si potrebbe chiamare una “cultura impegnata di Destra”».
Il libro è impreziosito dalla postfazione di Giovanni Damiano, uno degli studiosi più qualificati del pensiero evoliano, che intrattiene il lettore sulle posizioni espresse dal tradizionalista in tema di politica internazionale e, in particolare, sul problema della “decolonizzazione”, in quel frangente presentato dalla grande stampa in termini di mera esaltazione retorica.
L’Italiano iniziò le pubblicazioni nel 1959, sotto la direzione di Giorgio Torchia. In realtà, Lombardo ha chiarito che, l’anno precedente, erano usciti almeno sei numeri della rivista (custoditi presso la Biblioteca Alessandrina di Roma), vere e proprie prove generali del periodico prima dell’uscita ufficiale. Pino Romualdi è stato, da sempre, deus ex machina, coordinatore e ispiratore della pubblicazione. Ebbene, il mensile può esser considerato filiazione del quotidiano Il Popolo italiano, che fece torcere i torchi delle tipografie tra il 1956 e il 1957, quale testata alternativa al Secolo d’Italia. Per questo, tra il quotidiano e la rivista è riscontrabile non solo un’evidente continuità di firme, ma di contenuti e posizioni.
L’Italiano cessò definitivamente le pubblicazioni nel 1984 ma, nel corso della sua storia, le uscite subirono spesso ritardi e interruzioni. Nel 1963, la direzione fu assunta da Guido Giannettini che, per i noti problemi giudiziari, dovette lasciarla a Carla De Paoli nel 1970. Molti i collaboratori illustri: oltre a Evola, vanno ricordati Petronio, Pintore, Tricoli e Adriano Romualdi. Tra le giovani firme, molte troveranno definitiva affermazione negli anni a venire, da de Turris a Solinas, da Perfetti a Del Ponte, da Rallo a Malgieri. Gli articoli di Evola uscirono in gran parte nei primi sei anni, mentre solo sette furono pubblicati negli anni successivi, fino al 1973. In uno degli ultimi scritti, il filosofo tracciò un ritratto commosso di Adriano Romualdi, scomparso a causa di un incidente stradale.
Per interesse argomentativo, i contributi di Evola possono essere raggruppati attorno a quattro snodi tematici:
1) la ricostruzione degli ultimi anni del fascismo e della RSI, al fine di trarne un bilancio definitivo, mirato a distinguere il positivo dal negativo;
2) lo sviluppo di una critica ai costumi del tempo;
3) l’elaborazione di una proposta intellettuale e etico-politica alternativa;
4) la costruzione di una storiografia basata sui princìpi della Destra tradizionale.
Compaiono, inoltre, nella silloge, articoli inerenti al Congresso MSI di Genova del 1960, al fallito colpo di Stato di Algeri, al XXIII Congresso del PCUS, al processo Eichmann, nonché ai fatti del maggio francese del 1968.
Dalla lettura si evince una sorprendente coincidenza di posizioni tra le tesi presentate dal tradizionalista e quelle della testata. Solo in alcuni casi, la Direzione fece precedere alcuni scritti di Evola da una breve nota di dissenso. In tema di diritto di famiglia, Evola, a differenza della Direzione del MSI e di quella della rivista, ammetteva la liceità del divorzio, essendo il matrimonio moderno, un’unione in sé né aristocratica, né sacra. Altri distinguo ci furono in merito alle critiche evoliane del Risorgimento e della Prima guerra mondiale. In ogni caso, gli scritti giornalistici del filosofo apparsi su L’Italiano, sono ampi e articolati, veri e propri saggi. Tanto che loro successive rielaborazioni compariranno in volumi del pensatore, come L’arco e la clava (1968) e Ricognizioni (1974). In essi Evola scrive della crisi cui era andata incontro l’arte moderna, affronta le problematiche sessuali e i rapporti uomo-donna, alla luce degli orientamenti ideali presentati in Metafisica del sesso, volume portato a termine sul finire degli anni Cinquanta. L’eros era esperito dal pensatore quale forza magnetica profonda, atta a realizzare l’integrazione del Sé, al di là di qualsivoglia “primitivismo naturalistico” e delle altrettanto sterili posizioni moraliste.
In tale contesto, Evola articola una critica senza appello nei confronti della “liberazione sessuale” teorizzata da Reich e Marcuse, ritenendola funzionale all’“assassinio del Padre” e della Tradizione, pienamente realizzati dalla Forma-Capitale con i rivolgimenti della contestazione giovanile.
Nell’esegesi dei problemi socio-economici, il pensatore mostra di tenere un atteggiamento reazionario. La “rettificazione” del contesto storico postbellico doveva avvenire in nome di quei princìpi “superiori”, propri del mondo della Tradizione, cui aveva fatto appello anche per “correggere” il fascismo. Lo Stato liberale doveva essere trasformato, attraverso una rivoluzione dall’alto, in Stato organico. In politica internazionale, poiché riteneva il comunismo sovietico il pericolo maggiore, sarebbe risultato vitale per l’Italia e l’Europa tenere una posizione di chiusura nei confronti del Blocco sovietico. Allo stesso modo, come chiarisce puntualmente lo scritto di Damiano, sarebbe stato necessario diffidare dei processi di decolonizzazione allora in atto.
Alla morte di Evola, sopravvenuta nel 1974, la rivista ospitò una “tribuna libera”, nella quale vennero discusse le posizioni del tradizionalista. In essa, tra l’altro, si legge: «L’uomo Evola, lo studioso Evola, il pensatore Evola ha lasciato dietro di sé una traccia che la Destra non potrà mai fingere di ignorare». Appello ovviamente inascoltato. Del resto, dalla lettura de L’Italiano si evincono sia la polemica Evola-Almirante, quanto la contrarietà della Segreteria del MSI a una conferenza sul pensiero evoliano, già prevista e organizzata, di cui fu impedito lo svolgimento per timore delle consuete accuse di razzismo. Evola, in quell’ambiente, era isolato anche in vita. Figuriamoci in una fase storica come l’attuale, in cui Croce è diventato “Maestro della Nazione”.