L’Italia moderna è una nazione fondata sulle riviste. Basti pensare che senza La Voce di Giuseppe Prezzolini non avremmo avuto Piero Gobetti, Antonio Gramsci e Benito Mussolini. Antifascismo liberale, marxismo e fascismo: praticamente tutto il nostro Novecento. Uno dei frutti più originali e controversi di quella variegata messe fu senz’altro La Torre, il quindicinale che Julius Evola diresse tra il febbraio e il giugno del 1930: cinque mesi e dieci fascicoli, per un pubblico di qualche centinaio di appassionati. Un’esperienza apparentemente trascurabile, nella storia culturale del nostro Paese. Eppure si trattò di un foglio capace di lasciare il segno, come testimonia la sua breve ma avventurosa vita, fra polemiche, querele, duelli, aggressioni e una sospensione delle pubblicazioni voluta dalle massime autorità.
La storia di questa battagliera rivista è oggi ricostruita a margine della meritoria ristampa che le Edizioni Mediterranee manderanno nelle librerie a fine mese, dopo che per anni l’unica versione disponibile fu quella delle edizioni Il Falco di Milano, del 1977. Come in tutte le opere evoliane pubblicate da Mediterranee sotto la curatela di Gianfranco de Turris, anche questa ristampa de La Torre è corredata da un ampio apparato critico, che ricostruisce la storia della rivista e ne contestualizza la parabola, fornendo al lettore anche particolari inediti. Bisogna innanzitutto specificare che La Torre fu la naturale prosecuzione di Ur e Krur, le riviste che a partire dal 1927 avevano fatto da terminale di tutto il mondo dell’esoterismo italiano. L’apparente armonia delle varie correnti era durata poco, finendo anzi con una feroce faida tra i «pitagorici» di Arturo Reghini e lo stesso Evola, combattuta sui giornali e anche in tribunale. La Torre fu la prosecuzione di Ur e Krur portata avanti dai soli evoliani, su un piano però più culturale e politico anziché esoterico. Gli altri collaboratori erano lo psicanalista Emilio Servadio, che ebbe anche l’intuizione del nome della testata, i poeti Girolamo Comi e Arturo Onofri, il tradizionalista «selvaggio» Guido De Giorgio e pochi altri. Sulle colonne della rivista uscirono anche traduzioni di importanti pensatori come Paul Tillich, Lucien Duplessy, Julien Benda o Johann Jakob Bachofen.
In un ricordo del 1970, Evola ne parlò come di «un’iniziativa positivamente anticonformista unica nel suo genere, che anticipò molti temi oggi banalizzati» e che cercò di operare una «rivoluzione entro la rivoluzione». Rispetto ai temi triti di un certo conservatorismo, scrisse ancora Evola, La Torre propose «qualcosa di assai più selvaggio, di inattenuato, di primordiale». Ma la rivista ebbe un ruolo speciale anche nell’evoluzione del pensiero evoliano. Come nota giustamente lo studioso Marco Rossi nel suo intervento, mettendo in fila gli articoli del pensatore tradizionalista usciti su La Torre si ha di fatto un’ampia anticipazione dei temi che saranno trattati pochi anni dopo nella più ambiziosa e importante opera evoliana, Rivolta contro il mondo moderno. Si volava alto, insomma. Ma a riportare sulla terra Evola ci pensò quella parte della cultura fascista che degli insegnamenti spirituali del «barone» proprio non sapeva che farsene.
Il 31 gennaio 1930, a ridosso dell’uscita del primo numero, Evola ricevette una sfida a duello da parte di Guglielmo Danzi, legato al gruppo de L’Impero, quotidiano di Mario Carli ed Emilio Settimelli. Tra La Torre e L’Impero ci fu una tensione continua, per tutta la durata della vita della rivista evoliana. Il punto, tuttavia, è che Danzi sfidò Evola… prima che la sua rivista uscisse. Come mai? Come ricostruisce, sulla scorta di documenti poco conosciuti, Fabrizio Giorgio in un altro contributo raccolto nel volume, l’origine della tenzone è probabilmente da ricercare nel legame tra il gruppo de L’Impero e l’ambiente legato a Reghini. Erano ancora strascichi di Ur, insomma. Sta di fatto che Evola rifiutò di battersi, ritenendo l’avversario non alla sua altezza. Motivazione che, come era facile immaginare, non fu accolta dallo sfidante, che accusò Evola di codardia.
La Torre nasceva sotto il fuoco nemico. Né le cose migliorarono in seguito, e non solo per colpa delle antipatie preconcette nei confronti di Evola, ma anche per la scarsa propensione alla diplomazia di quest’ultimo. Ben presto i toni degenerarono, fino all’articolo dell’Impero finemente intitolato Aristocrazia o pederastia?, in cui si dileggiava «la signorina Evola» e La Torre veniva definita «il giornale degli invertiti».
Ma la polemica non finì lì. Carli, un giorno, aspettò Evola sotto casa e lo affrontò in un confronto fisico sul cui esito le versioni sono divergenti. Evola subirà anche un’altra aggressione, per mano di Asvero Gravelli, direttore di Antieuropa, stavolta avendo la peggio. Le autorità fasciste, alla fine, si stufarono di tutte queste turbolenze, staccando la spina al foglio evoliano. Ma non fu solo il volare degli stracci (e degli schiaffi) a determinare la fine prematura della rivista. Anche sul tema dei contenuti, La Torre divenne presto scomoda. Già nel primo numero, Evola, dopo aver elencato le proprie posizioni, chiariva che «nella misura che il fascismo segua e difenda tali principi, in questa stessa misura noi possiamo considerarci fascisti»: una mirabile proclamazione di indipendenza che tuttavia doveva aver sin da subito indispettito qualche osservatore. Delle parole equivoche sull’italianità della Dalmazia suscitarono poi l’ira delle associazioni di ex combattenti. In mezzo a tante pagine di folgorante preveggenza («anche la differenza morale fra i sessi scomparirà, e può darsi anche che il vegetarianesimo farà parte delle abitudini» del mondo di domani, scrisse Evola nel quarto numero, scattando un’istantanea dell’Occidente del 2020 con novant’anni di anticipo), alla fine a inguaiare Evola fu invece una polemica piuttosto miope: il filosofo criticò infatti una delle poche battaglie del Regime che anche nel dopoguerra sarà vista con una certa indulgenza, quella demografica.
Evola sosteneva infatti che occorresse preoccuparsi della qualità e non della quantità dei figli della nuova Italia (non è chiaro perché secondo lui le cose si escludessero a vicenda, però). Da Renzo De Felice in poi, tuttavia, sappiamo quanto la politica natalista fosse centrale nelle preoccupazioni di Mussolini. La misura era colma, anche per le voci che si alzavano da più parti affinché La Torre venisse chiusa d’autorità. L’intervento dall’alto avvenne, seppur in forma «obliqua», come scrive Rossi, in quanto la rivista non fu formalmente chiusa, ma alle tipografie fu proibito di stamparla. Evola protestò con il suo amico Leandro Arpinati, ministro degli Interni, che tuttavia non poté fare nulla. La Torre cessava le sue pubblicazioni. «Ma io», scrisse successivamente Evola, «ne ebbi abbastanza, smisi e me ne andai in alta montagna».
(«La Verità», 17 settembre 2020)