Sono una ventina d’anni, da quando cioè uscì su Lo Stato, supplemento culturale de Il Borghese, nel marzo 1999, l’articolo Evola degradato che tutti in buona fede hanno creduto alla storia che ricostruì allora Dana Lloyd Thomas, vale a dire che il filosofo romano «fu rimosso dal grado (…) tra l’altro in seguito alla diffida di polizia che aveva colpito la rivista La Torre da lui diretta, ma anche perché aveva rifiutato di battersi in duello, contrariamente alla secolare tradizione degli ufficiali». Frase generica che dimostra come non si avesse in mano un documento specifico in merito. Delle diverse possibilità è rimasta impressa in tutti solamente questa: il vigliacco Julius Evola perse il grado di tenente perché aveva rifiutato la sfida a singolar tenzone con Guglielmo Danzi. Punto. L’Evola vigliacco e non certo “eroe” o “guerriero” è stato il cavallo di battaglia di molti destrorsi che lo hanno sempre avuto in antipatia per motivi strettamente personali o psicopatologici: i “rivoluzionari”, i “futuristi” i “fascisti”, gli “squadristi” postumi sino ad oggi, addì 2017.
Ora una serie di circostanze ci consente di mettere seriamente in dubbio, e praticamente smentire, una simile affermazione portata avanti per due decenni dal Thomas e da altri.
La prima è che, essendo a Rovereto il 19 novembre 2016 per un convegno insieme all’amico Guido Andrea Pautasso, esperto di futurismo e avanguardie, siamo andati in visita al MART, il museo specializzato in queste correnti artistiche (di Rovereto è un futurista notissimo, Fortunato Depero) e lì, grazie ad un amico che vi lavora, Simone Marletta, laureatosi con una tesi proprio su Evola, abbiamo scoperto che nell’Archivio del ‘900 del MART esisteva il Fondo Somenzi in cui erano custodite delle carte riguardanti Julius Evola. Dopo una lunga attesa, ne abbiano finalmente ricevuta copia: esse riguardano il processo Evola-Danzi del 1930, ed erano presso Mino Somenzi, altro noto futurista dell’epoca, perché questi era coinvolto nella vicenda in prima persona. Un processo avviato da Danzi contro Evola per aver rigettato il cartello di sfida, si penserà. Niente affatto! Esattamente il contrario. Un processo contro Danzi proprio perché aveva lanciato quel cartello di sfida. Fatto clamoroso e sino ad oggi sconosciuto. Il che capovolge una situazione che tutti, noi compresi (vedi la nostra risposta al Thomas nel numero de Lo Stato sopra citato), ritenevano pacifica.
Il secondo fatto che riapre il caso è che si è messo in contatto con me, nello scorso gennaio, l’avvocato cassazionista Luigi Morrone, studioso di storia della cavalleria e del duello, che mi espose i suoi forti dubbi sulla relazione consequenziale rifiuto del duello/rimozione dal grado su cui di recente si è ricominciato a polemizzare violentemente senza un apparente perché. E mi portava una serie di considerazioni giuridiche assai puntuali.
I due fatti si sono così uniti, e Luigi Morrone in base alle carte ritrovate nel Fondo Somenzi ci fornisce adesso una puntuale ricostruzione della vicenda che sostanzialmente smentisce dal punto di vista giuridico l’equivalenza quasi ovvia fatta dal Thomas e dai suoi caudatari sulla questione. Come si leggerà qui di seguito, appare assai improbabile che il filosofo abbia perduto il grado di tenente per l’episodio con Danzi, quasi impossibile a rigor di logica e in punto di diritto. Manca all’appello un unico documento, quello inziale, citato ma non pubblicato perché sino ad ora introvabile, che potrebbe chiarire limpidamente i fatti. Si sta facendo di tutto per trovarlo, dato che non esiste presso l’Archivio Centrale dello Stato di Rona, presso vari uffici militari e dell’Esercito, labirintici e infiniti e iper-burcratici. Se si rintraccerà lo porteremo a conoscenza, indipendentemente da quel che conterrà.
G.d.T.
Fu lo stesso Evola a coniare il termine “evolomani” per coloro che, proclamandosi suoi seguaci, prendevano alla lettera i suoi libri e lo idolatravano come un totem, cosa per lui insopportabile: circolano vari aneddoti su vere e proprie prese in giro nei confronti di elementi del genere, che neppure se ne accorgevano…
Oggi il termine dovrebbe adattarsi, rovesciandone il significato a coloro i quali sono letteralmente ossessionati dalla figura di Evola e passano il loro tempo a denigrarlo, con argomenti in realtà risibili. Ma per loro potrebbe anche dar bene un diverso neologismo: “evolofobi”…
Uno di costoro è il buon D. L. Thomas che, con un articolo sul Borghese, n. 12, marzo 1999, pp. 10-13, tirò fuori la storia della “vigliaccheria” di Evola, citando vari “indizi”, ai quali puntualmente fece riscontro Gianfranco de Turris su quello stesso fascicolo della rivista. Tra le altre cose, il Thomas citava la rimozione di Evola dal grado di tenente d’artiglieria, di cui qui vogliamo occuparci, soprattutto (ma non soltanto) da giuristi facendo intendere chiaramente che una delle ragioni potrebbe essere stata quella del mancato duello, ma non solo quella: «Evola fu rimosso dal grado (…) tra l’altro in seguito alla diffida di polizia che aveva colpito la rivista La Torre da lui diretta, MA ANCHE (maiuscolo nostro) perché aveva rifiutato di battersi in duello, contrariamente alla secolare tradizione degli ufficiali» (p. 10). Da qui la deduzione che Evola fosse un “vigliacco”.
In tempi recenti la tesi di Thomas sulla “vigliaccheria” di Evola è stata ripresa da qualcuno, che si sente investito nel 2017 della carica di custode dell’ortodossia fascista, o meglio squadrista. Il nostro custode, però, va al di là di quello che dice Thomas, sostenendo sic et simpliciter che Evola fu rimosso “con disonore” dal grado per aver ricusato il cartello di sfida di un tal Guglielmo Danzi, per questioni legate a reciproche offese. E l’evolofobo custode dell’ortodossia, infatuato altresì del fascino romantico del duello, forse ricordando qualche lettura giovanile, come Cyrano de Bérgerac («…giunto al fin della licenza, io tocco… là»), non perde occasione di vituperare Evola per questo rifiuto.
Purtroppo, la pubblicazione di alcuni scritti inediti di Heidegger, da cui si desume che il più grande filosofo del XX secolo leggeva ed apprezzava Evola, a molti non è andata giù, per cui si è recuperato tutto il pattume circolante.
Ci dispiace per chi è rimasto alle sue letture giovanili e si è innamorato di Cyrano: non è vero che il duello è il momento di sublimazione del coraggio individuale.
Evola ha un predecessore illustre, molto illustre: Caio Giulio Cesare Ottaviano, prima di diventare Augusto: «Antonio nuovamente inviò una sfida a duello a Cesare. (Cesare) rispose che Antonio aveva molte altre vie per andare incontro alla morte, reputando che quella per duello non sarebbe stata la migliore» [1]. E lo stesso duello ha detrattori eminenti. Federico II, lo stupor mundi, nel Liber Augustalis, sostiene che il duello «nature non consonat, a iure communi deviat, equitatis rationibus non consentit» (non si armonizza con la natura, devia dal diritto comune, non si accorda con le ragioni dell’equità). «Napoleone venne egli pure provocato in duello dal re di Svezia; Napoleone null’altro rispose, che di mandargli il primo maestro di scherma di un reggimento, col quale potrebbe, ei diceva, cavarsi il capriccio. A dir vero, Napoleone non amava i duellisti né i duelli, e li tollerò nell’esercito, soltanto come un male necessario»[2]. Difatti Napoleone (paradossalmente, personaggio esaltato dagli “evolofobi”)[3] sanzionò il generale Destaing colpevole d’aver ucciso il generale de Reynier in un duello alla pistola nel 1802[4].
Ma restiamo sull’argomento. Il rifiuto della sfida e la degradazione. Vediamo come andarono i fatti.
Evola, per la sua attività di direttore del quindicinale La Torre, era sotto tiro di diversi energumeni che, a corto di argomenti, optavano per l’aggressione fisica. Il 31 gennaio 1930, Guglielmo Danzi, persona che sarebbe rimasta sconosciuta ai posteri se non fosse stata “ripescata” da Thomas con l’articolo su menzionato, manda un “cartello di sfida” a Evola tramite Stanislao “Mino” Somenzi (direttore della rivista Futurismo) ed Antonio (“Anton Remo”) Fusilli[5]. Evola rifiuta di battersi – Danzi, Somenzi e Fusilli diffondono un duro comunicato in cui accusano Evola di vigliaccheria[6]. Evola spiega le ragioni del suo rifiuto con una “lettera circolare”[7] a stampa e non datata inviata agli amici e agli ex abbonati della rivista: ritiene il Danzi “inferiore” a lui per differenza di rango e – quindi (in maiuscolo nel testo) «CON CERTA GENTE CI È PROIBITO, DALLA NOSTRA STESSA CLASSE, BATTERCI».
I nostalgici di Cyrano de Bérgerac dovrebbero sapere che – superata la fase “selvaggia” del duello – vi furono vari tentativi di codificare le vertenze cavalleresche. E uno dei pilastri di tale codificazione è il reciproco riconoscimento di pari dignità tra i contendenti. Tanto è vero che tutti i codici militari dal XVIII secolo in poi hanno sempre proibito, con pene e sanzioni disciplinari severissime, i duelli tra superiore ed inferiore.
Più in generale, tutti i trattatisti sul duello escludevano l’obbligo di accettazione della sfida in caso di disparità di livello. E, ad evitare qualche interpretazione fuori luogo, il concetto di “nobiltà” che impediva di battersi a duello con un inferiore NON ERA LEGATA AL TITOLO NOBILIARE, ma al senso dell’onore. «L’onore era, per definizione, un bene di ceto: non un valore comune, ma un valore variabile a seconda della differente dignità del soggetto. Siffatta concezione rendeva ovviamente necessario diversificare per livello la possibilità di duellare, giacché non tutti rischiavano di perdervi la medesima ‘quantità’ d’onore… Il Muzio escogitò una gerarchia in cinque gradi: principi supremi, serenissimi, illustrissimi, illustri, cavalieri privati. Senza addentrarci negl’intricati dettagli, diciamo che al fine di conseguire il requisito minimo per godere del diritto di duellare occorreva rientrare nel novero dei ‘cavalieri’»[8].
Per quanto scritto appresso, il rifiuto di Evola era ben basato sull’inferiorità del personaggio, vera incarnazione del “vile mecanico” di cui parla il Manzoni. Vediamo gli sviluppi successivi della vicenda.
Il codice Zanardelli allora vigente (il codice Rocco entrerà in vigore il 1° gennaio 1931), considerava reato la sfida a duello, e di tale reato rispondevano sia lo sfidante, sia i “padrini”. Inoltre, era previsto come reato anche l’irrisione dello sfidato che aveva ricusato il cartello di sfida. Pertanto, la Pretura di Roma, il 13 novembre 1930, processò Danzi, Somenzi e Fusilli per i reati suddetti e li condannò ad una pena a noi ignota, dato che la sentenza non è stata conservata tra le carte del Fondo Somenzi del MART. Sappiamo, però, che condannò tutti e tre a pagare una somma a Evola[9]. A questo punto, Somenzi ricorda a Danzi che si trova nei guai per colpa sua e gli chiede, quanto meno, di sollevarlo da questo pagamento, e farsi carico delle spese da corrispondere a Evola[10].
Poiché medio tempore Fusilli muore e l’eroico sfidante Danzi si rende irreperibile, Evola procede contro Somenzi, il quale è costretto a veder vendere i suoi mobili all’asta giudiziaria per far fronte al debito. Poiché Danzi fa l’anguilla, per tenere buono Somenzi gli rilascia delle cambiali, che però non paga alla scadenza, e sparisce anche dalla vista di Somenzi[11]. Alla fine, morto Fusilli, “sparito” l’impavido duellatore Danzi, sarà il povero Somenzi a doversi far carico di tutto il peso delle conseguenze giudiziarie della incauta sfida.
Non credo occorrano molte parole per denegare a Guglielmo Danzi la minima qualifica di “cavaliere” che gli avrebbe dato diritto a battersi a duello.
E veniamo alle vicende militari di Evola. Dal suo stato matricolare (unico documento che può aver consultato il Thomas), risulta che il 26 aprile 1934 venne rimosso dal grado di tenente di artiglieria in congedo per motivi disciplinari.
Dalla lettura del provvedimento (R.D. 26 maggio 1934, registrato dalla Corte dei Conti il 6 giugno successivo), innanzitutto, si evince un errore di data nella trascrizione sullo stato matricolare (appunto, 26 maggio, non aprile come erroneamente annotato), con il corollario che tale semplice constatazione rende evidente il fatto che il Thomas non lo ha consultato, poiché nell’articolo sul Borghese del 1999 parla di 26 aprile, come risulta erroneamente annotato sullo stato matricolare.
Quanto alla causa della rimozione, nel regio decreto regolarmente registrato alla Corte dei Conti, c’è un generico riferimento alla norma di cui si fa applicazione («ai sensi dell’articolo 71, lett. e, legge 11 marzo 1926, n. 397»), richiamando ob relationem la motivazione del Consiglio di Disciplina del Distretto Militare di Roma nella seduta del 10-11 marzo 1934.
Non conoscendo la deliberazione del Consiglio di Disciplina suddetta (e non potendola conoscere il Thomas, dato che questo documento è per ora introvabile nonostante le ricerche archivistiche compiute), è una mera illazione sostenere che la causa della rimozione dal grado sia la mancata accettazione della sfida di Danzi. Non solo, ma – alla luce della legislazione vigente all’epoca – l’ipotesi appare altamente improbabile. Vediamo perché.Sul piano temporale, la mancata accettazione della sfida di Danzi è del 1930. Come risulta dallo stato matricolare, il 15 novembre 1931 Evola si presenta per una visita di revisione, che ha esito positivo, confermando la sua permanenza nel grado. Parrebbe sicché molto strana una sanzione irrogata a quattro anni di distanza dal duello rifiutato.
Passiamo all’eventuale rilevanza disciplinare della mancata accettazione del cartello di sfida.
Sia nel 1930 (data del fatto), sia nel 1934 (data di irrogazione della sanzione), era in vigore il Regolamento di disciplina militare del Regio Esercito del 1929 (R.D. 24 giugno 1929).
E qui s’inserisce anche il problema del trattamento del duello da parte del fascismo. Scrive il Cavina: «Se… Mussolini uomo avvertiva profondamente il fascino delle partite d’armi, Mussolini capo dello Stato e più in generale il regime fascista si dimostrarono se non ostili, quanto meno diffidenti. Il fascismo ebbe atteggiamento ambiguo nei confronti del duello, espressione di encomiabile virtù marziale, ma anche negazione individualistica dello Stato fascista, organico, disciplinato e tendenzialmente totalitario»[12].
Il principio fondante dello Stato fascista è quello del monopolio da parte dello Stato stesso dell’uso della forza, alla luce di quanto affermato nella voce “Fascismo” sull’Enciclopedia Italiana del 1932: «Antiindividualistica, la concezione fascista è per lo Stato; ed è per l’individuo in quanto esso coincide con lo Stato, coscienza e volontà universale dell’uomo nella sua esistenza storica… per il fascista, tutto è nello Stato, e nulla di umano o spirituale esiste, e tanto meno ha valore, fuori dello Stato. In tal senso il fascismo è totalitario».
L’atteggiamento fascista verso il duello non fa eccezione alla rivendicazione allo Stato del monopolio nell’uso della forza e della composizione delle vertenze tra privati. Dal 1925 in poi vengono emanate circolari inviate a tutti i prefetti, i commissariati, le caserme dei Carabinieri, in cui si raccomanda una vigilanza atta a prevenire i duelli.
Il codice del 1930 manterrà la rilevanza penale della semplice sfida a duello ed Alfredo Rocco nella sua relazione al re parlerà del duello come residuo arcaico che il fascismo si propone di estirpare. La legge di Pubblica Sicurezza del 1931 vieterà la pubblicazione dei verbali di duelli avvenuti nonostante la proibizione di legge.
Non fa eccezione il citato regolamento del 1929, dove il duello è regolato minuziosamente. È innanzitutto espressamente vietato dagli artt. 27 e 28, il duello tra superiore ed inferiore. L’art. 29, espressamente: «Fra i militari non sono ammesse vertenze cavalieresche per causa di servizio, poiché le norme disciplinari in vigore assicurano la loro naturale e giusta soluzione»; l’art. 30 espressamente vieta i duelli tra militari ed ex appartenenti all’esercito cessati dal servizio; l’art. 32, per i duelli tra pari grado per ragioni diverse dal servizio, rimanda alle regole dettate dall’all. 1.
L’all. 1 al Regolamento, all’art. 1, disponeva: «Quando fra due militari sorga una vertenza cavalieresca, è dovere dei loro rappresentanti di tentare ogni mezzo per comporla amichevolmente»; art. 2: «Qualora non riesca possibile comporre la vertenza, è obbligo dei rappresentanti di deferire questa al giudizio di un giurì di onore… La violazione di quest’obbligo costituisce mancanza disciplinare»; art. 11: «Per gli ufficiali in congedo, quando non sono considerati come in servizio, ricorrere al giurì d’onore, per la risoluzione di vertenze cavalieresche, è obbligo morale».
Come si vede, lungi dall’integrare violazione disciplinare il rifiuto di un cartello di sfida, il regolamento prevedeva quale mancanza disciplinare non avere tentato di tutto per evitare il duello.
Infine, l’art. 33 del regolamento faceva espressamente salva, in materia di duelli, la disciplina penale.
E abbiamo visto che anche il codice Zanardelli, vigente al momento del cartello di sfida di Danzi, prevedeva come reato la semplice sfida a duello, e sarebbe del tutto illogico ritenere che ci fosse una norma disciplinare che considerasse come violazione il rifiuto di commettere reato.
Quale ipotesi si può avanzare sulla rimozione dal grado, allora?
L’art. 71, lett. e), della legge 11 marzo 1926, n. 397, richiamato nel provvedimento di rimozione, prevede la perdita del grado con queste parole: «rimozione per fatti politici contrari al giuramento o per motivi disciplinari, previo conforme parere di un consiglio di disciplina».
L’ipotesi più probabile è – quindi – che si sia voluto attribuire rilevanza disciplinare agli attriti di Evola con il regime che portarono alla diffida di PS nei suoi confronti e alla relativa chiusura de La Torre nel giugno 1930[13] a causa degli articoli contro certe politiche del fascismo, o agli scontri anche fisici con certi personaggi dello squadrismo tipo Asvero Gravelli, o alla mancata iscrizione al PNF. O per tutto questo complesso di cose. L’ipotesi è altresì avvalorata dalla lettera di Evola al Ministero per la Cultura Popolare del 9 agosto 1943[14].
In tale lettera, utilizzata dagli evolofobi come clava per colpire Evola[15], il pensatore scrive: «Cosa ancora più grave le diffamazioni del tempo de La Torre vennero fate conoscere tendenziosamente alle autorità militari con l’effetti di un procedimento disciplinare. E la pratica per rimuovere tale provvedimento – che altrimenti avrebbe avuto esito positivo – sempre è stata ostacolata dalle informazioni del partito e dal mio non essere tesserato. La mia volontà di prender parte a questa guerra con lo stesso grado con cui combattei nella precedente doveva imporsi dunque di chiedere una inscrizione». Dal che si traggono tre corollari:
1. Evola riferisce di essere stato rimosso in seguito a un procedimento disciplinare provocato da “segnalazioni” di solerti funzionari del PNF;
2. Riferisce ancora di aver richiesto la “inscrizione” al PNF al solo scopo di essere reintegrato nel grado;
3. Riferisce – infine – che la reintegra nel grado è stata impedita dalle informazioni negative provenienti dagli ambienti del PNF.
Certo, si tratta di “informazioni” provenienti dallo stesso Evola, ma facilmente riscontrabili ove non rispondenti alla verità.
L’evolofobo Thomas tende ad escludere una motivazione “politica” della rimozione dal grado, ma dimostra di non conoscere le regole che sovrintendevano l’ordinamento militare dell’epoca. Scrive, infatti: «Non era quindi l’iscrizione al partito ad influire sullo stato di servizio militare – affermazione peraltro in netto contrasto con le realtà dell’organizzazione militare – ma proprio il contrario»[16].
Al contrario di quel che afferma il Thomas, l’iscrizione al partito venne resa obbligatoria per gli appartenenti alle Forze Armate con legge 28 settembre 1940, n. 1482, in vigore all’epoca della richiesta di reintegro nel grado da parte di Evola, ma la tendenza ad escludere dall’esercito i non iscritti al PNF era risalente nel tempo. Per quanto concerne specificamente la vicenda della perdita del grado, lo statuto del PNF approvato con R.D. 17 novembre 1932, n. 1456 poneva alle dipendenze dal partito l’Unione Nazionale Ufficiali in Congedo a cui erano iscritti tutti gli ufficiali della riserva (Evola compreso, prima della perdita del grado).
Dunque, la motivazione “politica” resta la più plausibile. Ma, fino a quando non saremo in possesso della deliberazione del Consiglio di Disciplina, potremo solo formulare delle ipotesi. Certo che, sul piano giuridico, quella del collegamento tra la rimozione dal grado e la mancata accettazione della sfida di Danzi, è l’ipotesi meno probabile perché meno logica e meno coerente con gl’istituti giuridici concretamente applicabili all’epoca.
A dire il vero, sono gli attuali evolofobi a sostenere che Evola fu privato del grado per il rifiuto di battersi con Danzi. Lo stesso evolofobo Thomas si rende conto dell’inverosimiglianza di tale ipotesi, e ne avanza un’altra: «Quali ex militari, una vertenza tra i due andava però disciplinata da una norma che imponeva non tanto il combattimento (tra l’altro punibile dal Codice penale) quanto l’adempimento di alcune procedure per appianare il dissidio secondo le leggi dell’onore. Presumibilmente Evola non ottemperò a queste disposizioni e la faccenda finì davanti alle autorità militari».
Forse si allude alla ipotesi che si doveva accedere a un “giurì d’onore” ed Evola lo rifiuto? Ma anche questa è una mera illazione, giacché presupporrebbe che Danzi abbia chiesto la formazione del “giurì d’onore” ed Evola abbia rifiutato di sottoporsi al giudizio di quest’ultimo, ipotesi non solo non provata, ma inverosimile alla luce dei documenti consultati.
È da notare – infatti – come il presumibilmente utilizzato dal Thomas e riferito alla mancata attivazione di certe procedure, nelle mani degli evolofobi innamorati di Cyrano de Bérgerac diventi CERTEZZA riferita alla mancata accettazione della sfida.
Insomma, il pur evolofobo Thomas dice che “probabilmente” Evola fu degradato perché non seguì certe procedure; gli evolofobi del 2017, più realisti del re, attribuiscono CERTAMENTE la rimozione dal grado alla mancata accettazione della sfida. Non c’è bisogno di ulteriori commenti per constatare la labilità delle argomentazioni utilizzate per denigrare la figura di Julius Evola.
[1] Plutarco, Vita di Antonio, 75.1: «Πάλιν δ’ Ἀντώνιος ἔπεμπε Καίσαρα μονομαχῆσαι προκαλούμενος. Ἀποκριναμένου δ’ ἐκείνου πολλὰς ὁδοὺς Ἀντωνίῳ παρεῖναι θανάτου, συμφρονήσας ὅτι τοῦ διὰ μάχης οὐκ ἔστιν αὐτῷ βελτίων θάνατος, συμφρονήσας ὅτι τοῦ διὰ μάχης οὐκ ἔστιν αὐτῷ βελτίων θάνατος».
[2] Emporeo artistico-letterario, ossia raccolta di amene letture, novita, aneddoti ecc. con disegni, a cura di Giuseppe Antonelli, Volume 3, Venezia 1946, p. 379.
[3] È davvero paradossale questo innamoramento per il duello da parte degli “evolofobi”. Una delle “accuse” lanciate a Evola è un suo presunto amore per la Restaurazione a discapito delle “conquiste” della Rivoluzione Francese. Fatto sta che il duello fu preso di mira dai rivoluzionari e da Napoleone, e ritornò in auge proprio con la Restaurazione… Misteri dell’odiocrazia…
[4] Claude François De Méneval, Mémoires pour servir à l’histoire de Napoleon Ier, Dentu, Paris 1894, pp. 177 s.
[5] Qualche riferimento a Guglielmo Danzi si può trovare qua e là, citato genericamente quale sostenitore del razzismo biologico, in unico coacervo con Gayda, Interlandi, Orano o Avenati, ed ha pubblicato il volume Europa senza europei?, con la prefazione di Benito Mussolini, , Edizioni Roma, Roma 1930. Mentre Fusilli fu legato a Mario Carli ed Emilio Settimelli, scrisse biografie (Giampaoli, Pinciana, Roma 1928, e la nota biografica pubblicata in Dante Maria Tuninetti, Dalle leghe corporative allo stato fascista, Nistri-Lischi, Pisa 1929) e sketch teatrali per Natale (alias Alberto) Simeoni.
[6] Lettera del 3 febbraio 1930, inviata da Danzi a tutti i suoi amici. Si limita a trasmettere un comunicato di Somenzi e Fusilli, i quali commentano in modo violento il rifiuto di Evola, accusato di tenersi gli schiaffi sulle gote e i calci nelle natiche (MART, Archivio del ‘900, Fondo Mino Somenzi, Som. III 13.2).
[7] Ora riprodotta ne Il cammino del cinabro, Edizioni Mediterranee, 2014, pp. 216-217.
[8] Marco Cavina, Il sangue dell’onore: Storia del duello, Laterza 2005, pp. 236 e ss.
[9] Non conosciamo la somma iniziale, poiché non abbiamo la sentenza del Pretore. Da una lettera di Somenzi a Danzi, sappiamo che quando Evola iniziò gli atti esecutivi nei confronti di Somenzi, ammontava a £ 700,00 circa e che al febbraio 1933, con le spese dell’Ufficiale Giudiziario, la somma dovuta da Somenzi era arrivata a «un migliaio di lire» (lettera di Somenzi del 10 febbraio 1933, MART, Archivio del ‘900, Fondo Mino Somenzi, Som. III 13.12).
[10] V. la lettera di Somenzi del 10 febbraio 1933 citata nella nota precedente.
[11] Lettera di Somenzi a Danzi del 10 febbraio 1933, sopra citata: “In realtà, io non so dove abiti e quindi indirizzo la presente raccomandata con ricevuta di ritorno, nei vari posti ove prevedibilmente ti puoi trovare”. Identica frase in una successiva del 13 febbraio (MART, Archivio del ‘900, Fondo Mino Somenzi, Som. III 13, 13). Somenzi si rivolgerà, per rintracciare Danzi, all’avv. Manlio Sestito, presumibilmente il legale di Danzi (MART, Archivio del ‘900, Fondo Mino Somenzi, Som. III 13.16).
[12] Op. cit., p. 258.
[13] V. il fonogramma della Questura di Roma in Il cammino del cinabro, cit., p. 214.
[14] ACS, MinCulPop, Gabinetto, 8859 (Evola Giulio). La lettera porta la data erronea del 1934 ed è citata da Gianfranco De Turris, Julius Evola. Un Filosofo in Guerra, Mursia 1916, pp. 51 ss. e pubblicata integralmente in appendice al medesimo
[15] Per l’utilizzo improprio” della lettera e per la confutazione delle illazioni tratte da troppi esegeti improvvisati, cfr. De Turris, op. e loc. cit.
[16] Art. cit., p. 13.