In una celebre pagina degli Atti degli apostoli, Paolo, rivolgendosi agli ateniesi sull’Areopago, afferma che Dio «creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra» (At. 17, 26; versione CEI). Si tratta di una limpida testimonianza della dottrina monogenista, in base alla quale l’intera umanità deriverebbe da un unico progenitore, vale a dire Adamo. Tra l’altro, sarà proprio la comune discendenza adamitica a spiegare la dottrina del peccato originale, che si è potuto trasmettere all’intera umanità, macchiandola irreparabilmente, appunto per questo motivo.
Per l’opposta tesi poligenista, si possono invece ricordare alcuni passi di Giuliano Augusto, che in una delle cosiddette “epistole pastorali”, indirizzata al sommo sacerdote Teodoro, sosteneva, di contro al monogenismo, esplicitamente menzionato, appunto l’originaria differenziazione delle nazioni e delle stirpi, ognuna risalente a un proprio e specifico progenitore, in linea, tra l’altro, con la sua dottrina degli dèi genearchi o etnarchi (cfr. Giuliano Augusto, ep. 89b, 291d-292a).
Ora, nel primo capitolo del Mito del sangue, dedicato alla ricostruzione dei “primordi” del razzismo, Julius Evola menziona proprio le tesi poligeniste di Giuliano Augusto, ricordando come l’ultimo dei Costantinidi avversasse appunto «la teoria ebraico-cristiana del monogenismo, cioè la supposizione che tutto il genere umano fosse derivato da un’unica coppia», laddove in realtà sarebbero stati «gli dèi immortali» ad aver dato vita, «ab initio», a «ceppi umani diversi»[1]. La cosa interessante è che non si tratta di un passo isolato, in quanto Evola ricorderà il poligenismo giulianeo anche in un articolo del 1940 uscito su «La Vita Italiana»[2], e soprattutto, con un giudizio più articolato, in uno scritto pubblicato su «La Difesa della Razza» nel 1941, dove l’imperatore Giuliano, proprio in virtù delle sue posizioni poligeniste, verrà addirittura considerato «un razzista più spinto che non molti dei razzisti moderni, i quali facendo proprie le ipotesi dell’evoluzionismo o del trasformismo, affermano sì la diseguaglianza delle razze attuali, ma suppongono tuttavia che esse si siano differenziate da una sostanza originariamente unica»[3]; in altre parole, «molti dei razzisti moderni» sarebbero, in realtà, dei monogenisti inconsapevoli.
Ovviamente è del tutto implausibile l’idea di un Giuliano Augusto “razzista”; eppure, le osservazioni evoliane non vanno derubricate a mera curiosità storiografica, visto che comportano serie implicazioni in relazione a uno dei punti fermi dottrinari dello stesso Evola, vale a dire l’originaria unità delle tradizioni. Infatti tale unità, se letta da una prospettiva razziale, altro non sarebbe che la riproposizione del monogenismo, il che renderebbe assai problematico spiegare il conflitto tra le razze; d’altro canto, a me pare che la soluzione poligenista, adottata da Evola proprio per spiegare la presenza di razze tra loro irriducibili e impegnate in un conflitto persino “metafisico” tra inconciliabili visioni del mondo spirituali, metta decisamente in discussione tale presunta unità, in base alla quale tutte le tradizioni particolari discenderebbero da una “fonte” comune che le apparenterebbe sin dall’inizio.
In effetti, seppur in un contesto diverso da quello razziale, Evola, in un articolo del 1931 apparso su «Vita Nova», aveva già esplicitamente preso le distanze da questa presunta unità originaria, in quel caso per salvaguardare la specificità della civiltà occidentale. Ancora una volta, tale unità (di stampo guénoniano) minacciava di dissolvere le molteplici differenze tra popoli e civiltà, in nome di una sorta di hegeliana “notte in cui tutte le vacche sono nere”, eliminando, inoltre, ab initio, tutte le possibili ragioni di uno scontro “metafisico” (riverberantesi anche sul piano storico) tra opposte polarità spirituali. Al fine di garantire una difesa romana dell’Occidente che non si risolvesse in un appiattimento su valori e princìpi ad esso estranei, Evola si chiedeva se fosse «concepibile una differenziazione originaria in seno a quella spiritualità, che farebbe da sfondo ad ogni civiltà di tipo tradizionale»[4], riconoscendo che a tale domanda era effettivamente possibile «dare una risposta affermativa»[5], così da evitare il rischio, nel tentativo di sottrarsi al «materialismo occidentale», di cadere «in una spiritualità anti-occidentale»[6]. Che poi in questo articolo Evola si sia servito soprattutto di Bachofen e del dissidio insanabile teorizzato dallo studioso di Basilea tra la concezione “demetrico-tellurica” e quella “uranica”, destinato poi in Sintesi di dottrina della razza a tradursi in urto tra razze tra loro incompatibili, e della polarità azione-contemplazione (a sua volta “incarnata” nelle due funzioni della regalità guerriera e dell’autorità sacerdotale), è, in fondo, secondario rispetto all’aspetto essenziale, che consiste, ancora una volta, nella critica a una presunta Tradizione primordiale e a una visione spirituale comune alle varie tradizioni storiche, per cui le stesse concrete differenze tra popoli e civiltà finirebbero per essere ricondotte a un astratto ed esangue universalismo “tradizionalistico”.
Fin qui Evola. Tuttavia, per allargare un minimo la prospettiva, e andando a ritroso nel tempo, non erano certo mancate altre prese di posizione a favore del poligenismo, tendenti a contestare, apertamente o meno, la centralità del paradigma “adamitico”. Qui se ne darà conto ovviamente in maniera assai sommaria. Inizio da Giordano Bruno, che già nella seconda parte del terzo dialogo dello Spaccio de la bestia trionfante aveva criticato le cronologie bibliche incentrate sul diluvio universale e sul primo uomo (Adamo), anche grazie ai nuovi orizzonti aperti dalla scoperta del Nuovo Mondo. Ma è soprattutto nelle opere latine che Bruno prenderà posizione a favore del poligenismo, sia nel De monade IV, dove parla di tre progenitori, Ennoc, Leviathan e Adamo, che nel De immenso VII, 18, dove riprende la tesi dei tre progenitori e attribuisce la discendenza adamitica al solo popolo ebraico[7]. Il vero punto di svolta sarà però rappresentato dalla pubblicazione nel 1655 del testo di Isaac LaPeyrère, I preadamiti, uno dei libri più dirompenti e scandalosi del Seicento, che distruggeva dalle fondamenta uno dei principali puntelli del giudeo-cristianesimo, mostrando come fossero esistiti uomini molto prima della nascita di Adamo; non a caso, La Peyrère, quasi in chiusura della sua opera, dedicherà il capitolo XXV proprio a confutare le parole di Paolo sull’Areopago citate in precedenza, ritenendole riferite al solo popolo ebraico[8]. Ed ecco perché ancora Vico polemizzava con i Preadamiti, questo «spettro», per usare le parole di Landucci, che ormai «da quasi un secolo s’aggirava nei dibattiti sulla cronologia»[9]. Cominciava a entrare irreparabilmente in crisi un paradigma più che millenario.
[1] Tutte le citazioni in Julius Evola, Il mito del sangue, Edizioni di Ar, Padova 2009, pp. 20-21.
[2] Cfr. Julius Evola, Sulle origini e sul doppio volto del razzismo, in I testi de La Vita Italiana, Edizioni di Ar, Padova 2005, vol. II, pp. 228-229.
[3] Julius Evola, Diseguaglianza degli esseri umani, in I testi de La Difesa della Razza, Edizioni di Ar, Padova 2001, p. 193.
[4] Julius Evola, Per una difesa romana dell’Occidente, in Vita Nova (1925-1933), Fondazione J. Evola-Settimo Sigillo, Roma 1999, p. 124.
[5] Ibidem.
[6] Ivi, p. 130 (corsivi nell’originale).
[7] Cfr. Giordano Bruno, Opere latine, Utet, Torino 1980, pp. 329, 783-785.
[8] Cfr. Isaac La Peyrère, I preadamiti, Quodlibet, Macerata 2004, p. 137.
[9] Sergio Landucci, I filosofi e i selvaggi, Einaudi, Torino 2014, p. 251. Il riferimento vichiano è in Scienza nuova (1744), in Opere, Mondadori, Milano 1990, vol. I, p. 460. Sull’argomento si veda pure il fondamentale Paolo Rossi, I segni del tempo. Storia della Terra e storia delle nazioni da Hooke a Vico, Feltrinelli, Milano 2003, specialmente pp. 161-165 su La Peyrère, nonché Giuliano Gliozzi, Adamo e il Nuovo Mondo, La Nuova Italia, Firenze 1977, in particolare i capitoli Un mondo senza Adamo e L’americano preadamitico.