1. Marco Iacona: «L’addio a un prof. non conformista»
Due episodi per ricordare Gianfranco Lami, scomparso improvvisamente all’età di sessantacinque anni domenica 23 gennaio 2011. L’intervista che rilasciò al Tg1 nel 2008 durante lo svolgimento del convegno evoliano “Evola e la politica”, organizzato a cadenza fissa biennale ad Alatri. Il dono della sintesi e al tempo stesso l’entusiasmo coinvolgente. Lo stesso entusiasmo che riversò qualche mese dopo in provincia di Rieti alla presentazione del mio libro sulla contestazione (1968. Le origini della contestazione globale), cortesemente invitato dai suoi ex allievi della Sapienza di Roma.
In queste poche righe c’è il Lami che ho conosciuto, lo studioso di Julius Evola, l’accademico che contribuisce alla “Fondazione Julius Evola”, una guida per gli allievi in cerca di emozioni letterarie, un “metodista” esperto e sicuro di sé. Lo volli – fra i primi – per rispondere alle domande del libro che pubblicai nel 2008 su Evola (Il Maestro della Tradizione), certo delle sue risposte avvedute. Scoprii anche un uomo incline alla battuta di spirito.
Di Evola, Lami è stato fra i più noti studiosi. Curando parte dei volumi della serie edita dalla Fondazione, la “Biblioteca evoliana”, ha introdotto – fra i primi – la particolare cura del contesto storico in un ambiente facile agli slogan e alle citazioni-motto. Lui era fra quelli che aveva conosciuto Evola e serbava di lui il ricordo “normale” di un anziano “filosofo”; questa lezione di normalità o quasi-normalità Lami teneva ben in mente quando organizzava le conferenze ad Alatri, invitando i maggiori esperti del pensiero del “maestro della Tradizione” da ogni città d’Italia. Nell’anno in cui partecipai anch’io (2008), erano presenti fra gli altri, Giano Accame, Piero Di Vona, Renato del Ponte e Gianfranco de Turris.
E di de Turris è uno dei ricordi più commossi: «Lami è riuscito a far apprezzare un pensatore assai indigesto come Evola all’Accademia italiana», allievo di Augusto Del Noce ha creato attorno a sé una “scuola romana di filosofia politica” mandando avanti studi di autori anticonformisti che trovavano difficile asilo da qualsiasi altra parte; infine non del tutto sordo alle seduzioni del moderno, ha curato il sito della “Fondazione Evola” inserendo saggi degli allievi, corrispondenza, fotografie e novità editoriali. E anche Vitaldo Conte, curatore della mostra dedicata a Evola nel 2005 a Reggio Calabria, ricorda con commozione Lami, intellettuale e ottimo organizzatore: «Il suo pensiero era strutturalmente tradizionale ed elegante» dice, «ma non era sordo a riflessioni innovative». Dopo Franco Volpi e Giano Accame, il libero pensiero perde così un altro dei suoi più appassionati alfieri.
(«Il Secolo d’Italia», 26 gennaio 2011)
2. Riccardo Scarpa: «D’improvviso se ne è andato»
Nella seconda settimana di Gennaio, il Venerdì, andai a trovare Gian Franco Lami nel suo studio. M’accolse cordiale, come al solito, e mi mise in mano il volume di Luisa Gorlani Roma e Lazio, Letteratura e Civiltà: «Lo dovrai leggere prima della presentazione. Ti ricordi, vero, che il 23 lo devi presentare a Ferentino, nella biblioteca di Palazzo Giorgi Roffi Isabelli?». Non potei che rispondere: «Adesso che lo vengo a sapere lo leggerò. Andiamo assieme?». Il Venerdì successivo cercai il Professor Lami per accordarci, ma non lo trovai né all’Università né a casa e non fece mai uso di telefono portatile, in quanto, sono parole sue, la reperibilità continua si esige da certi dipendenti, e quindi il mezzo non s’addirebbe agli uomini liberi. Quindi contattai Giuseppe Casale, che è più del curatore delle sue ultime opere, è, assieme a Giovanni Sessa e Davide Bisogno, uno spirito che vibra assieme al suo. Mi rispose che il Professore era stato colto dall’influenza, ma che ci teneva io andassi per presentare il volume assieme a Davide Bisogno.
Quella domenica, quindi, andai a Ferentino, e Davide m’informò che v’erano delle complicanze, era in sala di rianimazione per insorti problemi respiratorî. Venimmo accolti con grande affabilità dal padrone di casa, Pio Roffi Isabelli, che pensò d’illustrarci alcuni pezzi della collezione archeologica d’Alfonso Giorgi, corrispondente di Teodoro Mommsen per le lapidi ferentinati pubblicate sul Corpus inscriptionum latinarum, e la casa avita colle vicende di famiglia, prima di scendere in biblioteca per la presentazione del volume, dolendosi per l’impedimento di Gian Franco Lami, di cui stava descrivendo la gioia di spirito che gli dava ogni incontro con lui, quando squillò il telefono portatile di Davide Bisogno: poco prima, Gian Franco Lami, lo spirito animatore della Scuola Romana di Filosofia Politica, aveva lasciato questo piano dell’esistenza, e quell’incontro, nella biblioteca, si trasformò per Giovanni Sessa, Davide Bisogno, Pio Roffi Isabelli, Luisa Gorlani, me, nella prima istantanea celebrazione: «Quomodo fabula, sic vita: non quam diu, sed quam bene acta sit, refert. Nihil ad rem pertinet quo loco desinas. Quocumque voles desine. Tantum bonam clausulam inpone. Vale».
Gian Franco Lami nacque nell’Urbe nel 1946, insegnò Scienza Politica all’Università di Teramo, sino al dì in cui andò ai Campi Elisi fu docente di Filosofia Politica all’Università di Roma «La Sapienza», e fu, lui non cristiano, professore visitatore alla Pontificia Università Urbaniana. Dal 1978 curò l’edizione italiana degli scritti principali di Eric Voegelin, fu autore di monografie su Adriano Tilgher, Augusto Del Noce che lo ebbe allievo, Angelo Ermanno Cammarata, e d’altri esponenti della cultura giuridica e politica contemporanea. Dal 1994 collaborò con la Fondazione Julius Evola alla pubblicazione dell’opera omnia evoliana. Su Evola fece la sua tesi di laurea, ne conservava ancora le bozze colle correzioni di pugno di quello che per molti è ancora il Barone maledetto. Libero pensatore vero e tenace, stava volgendo i suoi studî, da ultimo, a Filippo Burzio, il torinese, già docente di balistica all’Accademia Militare ed al Politecnico, collaboratore del quotidiano La Stampa dal 1934, di cui divenne direttore dal 10 Agosto all’8 Settembre 1943 quando, per una successiva condanna a morte per antifascismo, fu costretto alla clandestinità fino alla liberazione, allorché tornò alla direzione del quotidiano torinese. Quel che spinse Gian Franco Lami ad interessarsene è come, dalla sua educazione liberale e illuministica, dalla solida tradizione piemontese, attraverso lo studio di figure come Jean-Jacques Rousseau ma sopratutto Camillo Benso Conte di Cavour e Giovanni Giolitti, elaborò la sua teoria del Demiurgo, quale personalità in grado di moderare i comportamenti della società civile e di indirizzarne le aspirazioni, senza trascurare gli aspetti emotivi e volitivi dell’agire umano, sino a comprendervi l’operatività d’un idealismo magico che accostò questo spirito liberale alle correnti irrazionaliste del novecento.
Tuttavia, ad avviso di chi scrive, rimarrà una pietra miliare nella storiografia e nella riflessione sulla filosofia politica europea il suo Tra Utopia e utopismo (edizioni Il Cerchio di Rimini), sommario d’un percorso ideologico nel quale, da Platone ad Herbert Marcuse, il pensiero sulla convivenza civile è un vortice che agita le acque tra Scilla, l’Utopia come riferimento a principî d’un modo ideale d’essere cittadini, un orientamento della coscienza di Sé, e Cariddi, l’utopismo come concezione d’uno Stato perfetto da imporsi, attuarsi nella storia modificando con la forza la società per rifare l’uomo, un uomo nuovo; la prima è la tensione etica ed individuale che è lo spirito di tutta la politica classica, il secondo è la violenza totalitaria alla base di tutte le dottrine e prassi illiberali sperimentate nell’età moderna e contemporanea. Basterebbe leggere questo testo profondo per capire il non senso di quell’addebito mosso da Karl Popper a Platone d’essere il padre di tutti i nemici della società aperta. Un abbaglio culturale di chi ha guardato all’Utopia antica colle lenti dell’utopismo moderno, frutto d’errori che impregnano tutta la contemporaneità.
Dallo stesso editore, e sempre a cura di Giuseppe Casale speriamo presto di vedere uscire il testamento spirituale di Gian Franco Lami, Qui ed ora, per una filosofia dell’eterno presente. In definitiva, Gian Franco Lami muove dal pensiero classico in quanto è un classico, e se ne è andato ancora nel vigore del pensiero e del fisico, come tradizione dice trasmigrino coloro i quali sono cari agli Dèi.
(«Il Borghese», maggio 2011)
3. Giovanni Sessa: «L’Utopia classica di Gian Franco Lami»
L’intera vita dell’uomo, del cittadino e del pensatore Gian Franco Lami, è stata contraddistinta da un tratto saliente e caratterizzante, inerente la sua esemplare natura di testimone appassionato di una tensione conoscitiva, da sempre alla ricerca di un esito pratico. Questa spinta ascensionale insediatasi nel suo spirito dalla constatazione della miseria dei tempi ultimi, lo ha indotto a porsi un pressante quesito: quello relativo all’effettiva possibilità di un altro mondo, di un’altra e più degna vita per la Comunità degli uomini. Tale domandare incalzante, sin dagli anni della giovinezza, lo ha sospinto all’incontro con l’Utopia, il Classico e la Tradizione. Ha, così, perseguito una via intellettuale ed esistenziale minoritaria, accademicamente scomoda e non riducibile, per dirla con Michelstaedter, “ad una corsa da omnibus”. Tale visione della vita si è manifestata in lui, nell’inesausta apertura dialogica e nel rifiuto di ogni atteggiamento dogmatico. Filosofia dei pochi, del divino e dell’ordine la Sua, quindi, segnata dal demone dell’aporeticità.
Anche la morte improvvisa, inaspettata, sopravvenuta in una gelida e triste domenica dello scorso Gennaio, ci sembra testimoniare una sintonia di fondo con gli altri momenti della sua esistenza, quasi a rimarcare, per un uomo ancora nel pieno dell’attività intellettuale, l’ineludibilità del confronto con il limite, con il nulla, con il passaggio ad altri piani dell’essere. La morte, del resto, era aduso descrivere, nei colloqui quotidiani che intrattenevo con Lui, come una prova essenziale per l’effettiva verifica del livello di persuasione conseguito da ognuno di noi.
Credo che egli abbia pienamente superato l’inevitabile confronto. La sua dipartita, sotto il profilo simbolico almeno, ci pare testimoniare, infatti, del livello realizzativo ottenuto in vita. Quell’infausto 23 Gennaio, avremmo dovuto presentare assieme, come capitava sempre più spesso, per gli eventi culturali organizzati dalla Sua Scuola Romana di Filosofia politica, un libro a Ferentino, nella biblioteca di Palazzo Roffi Isabelli. Qualche giorno prima, Lami era stato colto da influenza, perciò mi avvertì che non ci sarebbe stato. Altresì, mi confermò, in quella sua ultima telefonata, la presenza tra i relatori di Riccardo Scarpa e Davide Bisogno, amici comuni. Con loro stavamo visitando le stanze di quell’antica magione, accompagnati dal padrone di casa, quando nella “Galleria degli dèi”, non credo casualmente, ci raggiunse la terribile notizia della sua scomparsa. Non poteva esserci luogo più acconcio all’annuncio della trasmigrazione di uno spirito come quello di Gian Franco Lami.
Ciò in quanto, il centro speculativo della sua intensa attività intellettuale, va, a mio parere, individuato nel tentativo di recuperare l’esperienza classica della ragione, anche al senso comune contemporaneo, che da essa pare totalmente alieno. Il pensiero antico rinvia al primato del nous, inteso come forza ordinate la psyché del singolo ma, al medesimo tempo, strumento diagnostico e terapeutico del nosos, della malattia-alienazione contemporanea. La formazione filosofico-politica di Lami ha avuto, tra gli autori di riferimento, Eric Voegelin: filosofo della storia che egli ebbe il merito di introdurre per primo in Italia, quando, in qualità di assistente di Augusto Del Noce, curò la pubblicazione di sillogi del pensatore austro-tedesco, apparse, fin dalla fine degli anni Settanta, per la casa editrice Astra. Sul suo pensiero scrisse un’interessante opera, Introduzione a Eric Voegelin (Giuffré, Napoli 1993). Ma, a differenza di Del Noce, al quale fu grato per il discepolato e dal quale ereditò il rigore del metodo e la profondità interpretativa (cosa che si evince dalle pagine della monografia, Introduzione a Augusto Del Noce, Pellicani 1999) e dello stesso Voegelin, Lami non optò per una scelta di fede. Attraverso un lungo percorso speculativo, rivolse i propri interessi al mondo antico, alla filosofia classica, in particolare a quella platonica. In essa vide espresso, in modo paradigmatico, il modello della classicità, nel teleos, nell’uomo integrale, nel persuaso che nell’eros gnosico trova la spinta per innescare un processo di ascesi virtuosa, in un percorso, necessariamente inconcluso, mirante alla liberazione in vita. La Città diviene, per il “perfetto”, il luogo di verifica di tale iter. Nell’adeguazione dell’azione individuale al precedente autorevole cittadino, testimoniato dal mito, la tradizione manifesta la sua vigenza nel qui e ora, il suo essere possibilità eterna. Tali problematiche hanno trovato il loro momento apicale nell’interpretazione che Lami ha fornito del mito di Er, letto come il luogo platonico in cui il tradere si realizza nella Città-Cosmo, nella Comunità dei morti e dei viventi. Per l’approfondimento di tali tematiche, rimandiamo il lettore alle dense pagine del volume Socrate Platone Aristotele (Rubbettino, Soveria Mannelli 2005), nel quale l’autore ha sviluppato un confronto a tutto tondo con la filosofia socratico-platonico-aristotelica, ma anche al libro che possiamo considerare il suo testamento spirituale, pubblicato postumo, Qui e ora. Per una filosofia dell’eterno presente (Il Cerchio, Rimini 2011).
Dalla sua lettura, si evince come il filosofo politico abbia teso a depurare l’Antico dalle successive interpretazioni, e dalle deformazioni ermeneutiche introdotte dalla visione ebraico-cristiana. In queste opere, lo sforzo teoretico maggiore e, probabilmente, i risultati più significativi, egli li ha prodotti e conseguiti nell’esegesi dei termini greci e/o latini, ricondotti, oltre le letture accademicamente consuete, al loro significato originario, rinviante alla dimensione pratico-politica. Queste sue due opere, forse più delle altre, consentono, oltretutto, un duplice livello di lettura. Sono, infatti, costituite da una parte di profilo, più generica, introduttiva alle problematiche storiche o filosofico-politiche trattate, cui può rivolgersi il neofita o il semplice lettore, mentre le note, vero e proprio testo nel testo, ci dicono della vasta erudizione dell’autore e del suo metodo, aperto al contributo critico di più discipline. In ciò, da un lato, si manifesta l’influsso, esplicitamente ammesso, degli autori della scuola oxoniense, dall’altro di quel Martin Heidegger, la cui lezione, in termini impliciti, emerge comunque da queste pagine. Intimamente legata a questo genere di riflessioni, è la valorizzazione dell’Utopia, platonicamente intesa come riferimento a principi di un modo ideale di essere cittadino (che, in realtà, era il suo modo d’essere membro del consesso civile), un orientamento della coscienza verso l’archetipo, verso l’alto, che agendo sul percorso di liberazione, lo rende fallibile. La libertà stessa, si accompagna così, inevitabilmente, al suo compossibile, la necessità. All’Utopia, in tal modo intesa, contrappose l’utopismo, quale concezione di uno Stato perfetto da imporsi nella storia, se necessario ricorrendo alla violenza, in nome di un uomo nuovo. Ritenne tanto importante questa distinzione, da costruirvi un’opera significativa, Tra utopia e utopismo (Il Cerchio, Rimini 2008), un percorso storico-ideologico che muove da Platone, per giungere a Marcuse.
Tra i suoi interessi intellettuali, intensamente vissuti, hanno svolto un ruolo di primo piano gli studi sugli autori dimenticati del Novecento. Tra essi, Adriano Tilgher e Julius Evola. Al primo ha dedicato un’esaustiva monografia, Tilgher, un pensatore liberale (Seam, Roma 2000), nella quale si soffermò, in particolare, sulla pluralità delle morali presenti nell’opera del pensatore partenopeo, di cui apprezzava l’esito antiuniversalistico. Sul secondo, scrisse la prima biografia filosofica, Introduzione a Julius Evola (Volpe, Roma 1980). Quale collaboratore della Fondazione Evola, ha curato diversi volumi della “Biblioteca evoliana”, nei quali è riuscito a contestualizzare storicamente l’opera del filosofo della tradizione e a coglierne il valore. In particolare ha, in più circostanze, rilevato come Evola, in fondo, abbia creato un sistema di pensiero, in cui ripropose l’antropologia classica: un platonico, quindi, ma senza “platonismo”. Più nello specifico, dalle articolate prefazioni di Lami alle antologie degli scritti giornalistici del pensatore romano, si evince il carattere eminentemente pratico dell’idea di tradizione in Evola, che tanto lo distingue dalla scolastica metafisica di Guénon.
Lami è stato, inoltre, un instancabile organizzatore culturale. Per riferirci solo agli ultimi anni, non possiamo dimenticare di citare i tre Convegni dedicati al pensiero di Evola, il Convegno sulla filosofia di Del Noce e quello internazionale su “Ordine e Storia” di Voegelin, opera che egli tradusse integralmente. La sua vocazione eretica e controcorrente emerse, in questo ambito della sua attività, nella dedizione che profuse alla realizzazione del Convegno di studi “Arché/Anarché”. Negli ultimi mesi, stava lavorando al convegno “Per una filosofia del Risorgimento”, che si è tenuto, ahimè, in sua memoria, lo scorso Aprile.
Nell’attività di docenza, prima presso l’Università di Teramo, e successivamente alla “Sapienza” di Roma, ha saputo trasformare la sua cattedra in un luogo di “accoglienza” intellettuale per studenti e collaboratori, che da lui imparavano l’amore per il sapere, quello autentico, destinato a trasformarsi in vita, in testimonianza esistenziale. Ai giovani, ha sempre offerto e aperto spazi significativi di collaborazione, innanzitutto sulla rivista telematica, www.politicamente.net, che egli fortemente volle come laboratorio teorico della Scuola Romana, o sul sito di riferimento degli studi evoliani in Italia, costituito in collaborazione con Gianfranco de Turris e Damiano Gianandrea, www.fondazionejuliusevola.it.
Credo, in conclusione, che per tentare di rimanere fedeli, per quanto possibile, al suo insegnamento e alla sua memoria, sia necessario tenere a mente quanto, attraverso Aristotele, egli spesso ci ricordava: “Felicità è agire!”, e comportarsi di conseguenza. Solo questo agire, alto e nobile, ci consentirà di porci oltre ogni retorica, oltre la stessa retorica della morte e del ricordo. Che Ti sia lieve la terra!
(«Behemoth», Luglio-Dicembre 2011)
4. Giovanni Sessa: «Per Gian Franco Lami»
È davvero difficile per me, ricordare Gian Franco Lami. In questi giorni, ho dovuto farlo più volte, intervenendo a pubbliche commemorazioni della Sua memoria, a cominciare da domenica 23 Gennaio quando, in un gelido pomeriggio invernale, improvvisa e sorprendente, ci è giunta la notizia della Sua dipartita, durante la presentazione di un libro, alla quale avrebbe dovuto essere presente, come relatore, anche lui. Immediatamente, il pensiero è corso al nostro primo incontro, quando io, giovane studente di filosofia, lo conobbi in qualità di assistente di Augusto Del Noce. Fin da allora, non si trattò di un semplice rapporto professionale, in quanto Lami seppe trasmettere a noi giovani che lo frequentavamo, l’amore per il sapere autentico, quello che si tramuta in testimonianza, in vita. Mi coinvolse immediatamente in un progetto ambizioso: quello di introdurre in un paese dominato culturalmente dalla Sinistra, il filosofo della storia Eric Voegelin, allora praticamente sconosciuto. Il risultato di questa ricerca, alla quale ebbi l’onore e il piacere di partecipare in prima persona, assieme a Giuliano Borghi e pochi altri, si concretizzò nella pubblicazione di una serie di antologie voegeliniane (qui è bene rinviare a Eric Voegelin: un interprete del totalitarismo, Astra 1978), che fecero ampiamente discutere. Il merito maggiore, conseguito da Lami, in questo ambito di studi, fu di individuare nel filosofo austro-americano, un diagnosta della crisi della modernità. In particolare, attraverso l’analisi e la traduzione di Ordine e storia, opera monumentale, Egli presentò l’esperienza classica della ragione, quale unica terapia possibile delle devianze neo-gnostiche contemporanee (si veda la prefazione a Eric Voegelin, Israele e rivelazione, Aracne 2004, ma anche G. F. Lami, Introduzione a E. Voegelin, Giuffré 1993). Fece propria, in modo critico e originale, l’eredità di Del Noce, secondo modalità più profonde rispetto a chi, tra i suoi presunti discepoli, scelse, come il Maestro, una via di fede. La cosa è facilmente deducibile dalla lettura dell’organica monografia che egli dedicò al filosofo cattolico (Introduzione a Augusto Del Noce, Pellicani 1999), da cui si evincono tanto la gratitudine per il discepolato e per gli insegnamenti ricevuti, sostanziati da un metodo rigoroso d’analisi quanto le differenze speculative essenziali, dovute alla valorizzazione filosofica, propria di Lami, delle qualità virtuose dei singoli, nell’ambito pratico-politico. A questa scelta, che peraltro individua, nello specifico, il campo d’indagine della Scuola Romana di Filosofia politica, che a Lui faceva e fa, tuttora, riferimento, hanno fortemente contribuito gli interessi per gli autori dimenticati del novecento. Tra essi, Adriano Tilgher e Julius Evola. Al primo, dedicò un volume significativo (Adriano Tilgher, un pensatore liberale, Seam 2000), nel quale evidenziò il tema della pluralità delle morali, come caratterizzante il pensatore napoletano. Ciò, secondo Lami, lo avvicinava al filosofo tradizionalista, poiché il suo pensiero, individuava effettive vie realizzative in grado di determinare le tipologie umane dell’eroe, del santo, dell’asceta, del saggio e del dotto. Sul secondo, dette alle stampe la prima monografia filosofica (Introduzione a J. Evola. Un passo per la vita e un passo per il pensiero, Volpe 1980). Inoltre, quale collaborate della Fondazione Evola, ha curato diversi volumi della “Biblioteca evoliana” nei quali, come pochi, è riuscito a contestualizzare storicamente l’opera del pensatore romano e a coglierne il valore, in un lavoro esegetico sempre aperto alla comparazione. È proprio Evola, l’autore attorno al quale si sono dipanate, nel corso degli anni, le nostre discussioni. Mi pare, infatti, che Egli leggesse Evola, tentando, almeno su certi aspetti, di andare, con gli strumenti della tradizione platonico-aristotelica, oltre le posizioni consuete a quest’ultimo, interpretando, al medesimo tempo, la consolidata lettura di matrice cristiana del pensiero classico, alla luce dell’esegesi evoliana. Stigmatizzò sempre negativamente l’abbandono, dovuto all’irruzione della visione del mondo ebraico-cristiana, della dimensione civico-virtuosa, sulla quale la civiltà greco-romano tanto aveva insistito. La cosa, è particolarmente chiara nello studio dedicato a questo specifico tema (Socrate Platone Aristotele, Rubbettino 2005), nel quale tentò di presentare il simbolo epocale del mondo antico, la “vita contemplativa”, come realizzantesi pienamente nella dimensione della Città, a testimoniare della contrapposizione tra tensione utopica tradizionale, e scacco utopistico, tipicamente moderno. Tema questo, attorno al quale spese le sue energie intellettuali nel recente volume Tra utopia e utopismo (Il Cerchio, 2008). Corrispondere a quella che è stata la via da lui indicata, ad un tempo ideale ed esistenziale, a quella che egli definiva una filosofia dei pochi, del divino e dell’ordine, è compito complesso e gravoso, al quale comunque, chi come me, gli è stato vicino, non può permettersi il lusso di sottrarsi. Sarà la memoria della Sua luce interiore, che accendeva anche negli studenti della “Sapienza”, o in chi lo ascoltava nelle innumerevoli occasioni culturali per le quali tanto lavorava, dai Convegni alle presentazioni librarie, a sostenerci nella Sua assenza. Ma, più in particolare, l’idea di una tradizione sempre viva e presente, che si realizza, addirittura nella comunanza dei vivi e dei morti, come Roma (ma non solo) ci ha insegnato, e che rappresenta il suo testamento spirituale più prezioso (al riguardo si veda, Qui e ora. Per una filosofia dell’eterno presente, di prossima pubblicazione per i tipi de Il Cerchio). L’università di Roma, con Lui ha perso una delle ultime personalità carismatiche, in grado di fare Scuola. Personalmente, non posso che ringraziarlo per avermi onorato, in questo mondo, della Sua amicizia, rara e preziosa: quella di un Signore.
(«Area», marzo 2011)
5. Alberto Cesare Ambesi: «Editoriale»
La voce di Ariel si eleva, per un momento, con giusta, sommessa solennità, nel funebre modo lidio: il Cenacolo Umanistico Adytum deve lamentare la perdita di Gian Franco Lami, docente di Filosofia politica alla “Sapienza” di Roma, nonché assiduo collaboratore e membro del comitato scientifico di questa rivista.
Studioso sempre rigoroso e uomo aperto all’amicizia, il 17 Gennaio di quest’anno, cinque giorni prima dell’improvviso ed improvvido decesso, così mi aveva scritto, fra l’altro: «Carissimo Cesare, avrò presto il piacere di leggerti…..Vorrei prenotarmi per il numero di primavera, se riuscirò a scrivere qualcosa sull’importante distinzione tra arbitrio e licenza. Vedremo se riesco a mantenere fede alla parola. Ricambio gli auguri di cuore. GFL”. Proponimento che mi affrettai ad accettare e che ora, a pertinente memoria, vorrei che divenisse il tema conduttore del prossimo numero di “Atrium”, giacché tale discriminante è un elemento fondativo, nella ricerca di una rinnovata oggettività tradizionale. Non per nulla, vi risultano accomunati l’ammaestramento di Lami e le sue ispiratrici eterodossie filosofiche di Adriano Tilgher, Eric Voegelin e Julius Evola.
Sia chiaro: non si sollecita qui la nascita di un pensiero del tutto conforme al magistero di uno dei tre maestri testé indicati. Né, tanto meno, si vorrebbe che si tentasse di tracciare un labirintico sentiero di mezzo, con la pretesa di costruire una “Grande Sintesi”. Sia nelle parafrasi del contributo che Lami avrebbe potuto sviluppare, sia nel più arduo e prolungato compito di formulare principi e metodi atti alla formazione di una nuova gnosi, parimenti vera ed esplicita, in ogni dimensione “apparente” o “segreta”, ciò che si esige è piuttosto un’inedita fedeltà alla dea Ragione e alle tre Muse primordiali, simultaneamente. Straordinaria disciplina interiore, prima ancora che dottrina, alla crescita della quale parleranno per sempre, con voci ora sinfoniche, ora diafoniche, l’atomo e il fiore, il Cielo e la Terra.
(«Atrium, Rivista di studi metafisici e umanistici», a. XIII, n. 1, p. 4)
6. Simone Paliaga: «Scomparso lo studioso Gian Franco Lami, esperto delle opere di Evola e Del Noce»
Gian Franco Lami, uno dei più interessanti filosofi della politica italiani, si è spento improvvisamente domenica pomeriggio. Nato nel 1946, da anni insegnava all’università “Sapienza” di Roma. Allievo di Augusto Del Noce, oltre alla biografia dedicata al suo maestro, a lui si deve pure la riscoperta di autori italiani dimenticati come Adriano Tilgher e Julius Evola e di aver riportato alla luce il lavoro del grande pensatore austro-americano Eric Voegelin.
Accanto all’attività di scavo filologico, non sono mancate però opere teoretiche come l’ultimo lavoro pubblicato, Tra utopia e utopismo, e quello che diventa purtroppo il suo testamento spirituale, Socrate Platone Aristotele. Per Lami Socrate è l’uomo “soglia” che consegna alla storia la conoscenza tragica dei sapienti, ma non necessariamente ogni cambiamento è decadenza. L’introduzione del dialogo nella pratica filosofica, secondo Lami, offre all’uomo l’opportunità di pensarsi capace di vita comune con i suoi simili e quindi in grado di costruire una polis virtuosa e ordinata.
(«Libero», 25 Gennaio 2011)