Esattamente venti anni fa veniva pubblicato, per i tipi di Jaca Book, un volume di E. Montanari dal titolo La fatica del cuore. Saggio sull’ascesi esicasta, da cui chi scrive trasse spunto per la sua tesi di dottorato, poi edita nel 2012, dalla medesima casa editrice, col titolo La preghiera e l’immagine. L’esicasmo tardo-bizantino (XIII-XIV secolo). Si trattava di due indagini per così dire “parallele”, la prima più interessata alla ricezione dell’esicasmo in Occidente (diaspora russa, A. Scrima e “orientamento tradizionale”) ed a comparazioni con il culto cattolico del Sacro Cuore ed anche col sufismo islamico, la seconda che andava ad approfondire i temi del “metodo” e della “tecnica” esicasta, oltre alla relazione tra ascesi ed iconografia (mundus imaginalis, ermeneutica spirituale). Ora, in Un’umile regalità. Percorsi dell’esicasmo in Occidente (Mimesis, Milano-Udine, 2022), Montanari ha ripreso ed integrato, in modo spesso acuto e convincente, gli studi già “fissati” due decadi or sono e variamente ripresi nel tempo (v. in particolare Storia e tradizione. Orientamenti storico-religiosi e concezioni del mondo, Roma 2016, in particolare cap. VIII), dipanando le direttrici della ricerca secondo quattro sensi, relativi ad altrettanti significativi profili di studiosi e religiosi del Novecento (uno francese, due russi e uno romeno; questi tre ultimi comunque “occidentalizzati”). Noi qui ci occuperemo in particolare dei primi due, che approfondiscono e precisano quanto acquisito col lavoro del 2003:
1. L’interpretazione “guénoniana” dell’esicasmo;
2. A. Scrima (m. 2000) e il “Roveto Ardente”.
Fondamentalmente, siamo di fronte ad una summa concernente la ricezione dell’esicasmo nel milieu occidentale, spesso tramite R. Guénon (m. 1951), che, paradossalmente, pur non avendo scritto nulla di specifico sul tema, «ha contribuito a riempire un vuoto ermeneutico che neppure studiosi del calibro di Eliade sono riusciti a colmare» (Premessa, p. 37). L’opera del metafisico francese ha quindi permesso che l’esicasmo fosse inteso quale fenomeno iniziatico (e non, nei suoi stessi termini, semplicemente “mistico”). La ricezione in oggetto ha determinato, in particolare nel XX secolo, un processo di “laicizzazione” dell’esicasmo, che è sempre più uscito dalle cerchie “riservate” dei monasteri – luogo originariamente di naturale “elezione” dell’hesychía – per proporsi quale “via regale” destinata ai laici (di qui il senso del titolo del libro, che intende unire l’umiltà-nadir dell’uomo alla regalità del Dio-zenith: «Dio si è fatto uomo affinché l’uomo si facesse Dio» [S. Ireneo]), fino a giungere alle formalizzazioni di Evdokimov sul «monachesimo interiorizzato», senza che ciò abbia comportato una sua «profanazione» (ibidem): visto anche che, aggiungiamo noi, nel Cristianesimo, a differenza che ad es. nell’Islam, non sembrerebbe sussistere una separazione “formale” tra esoterismo ed exoterismo. A questo proposito, fondamentali risultano le puntualizzazioni di J. Borella, secondo cui l’esoterismo cristiano è una ermeneutica vivificata dal revelatum (Scritture e liturgia) (pp. 104-105), che si compendia nella mistica (p. 114), la quale, in quanto esperienza precipuamente ecclesiale, assume tutti gli esoterismi e li “supera”, portandoli a compimento in Cristo (ibidem). Già più di quattro decenni prima di Borella, J. Daniélou aveva individuato la fondamentale faiblesse dell’opera di Guénon nell’inversione della relazione tra rivelazione e metafisica (p. 101 n. 181).
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D’altra parte, già nel XIV secolo Niceforo aveva messo per iscritto la Méthodos, per fissare insegnamenti che si sarebbero potuti perdere (o si sarebbero potuti fraintendere) a motivo della penuria di maestri; e, comunque, in quel periodo emerse un “metodo” più o meno formalizzato non ex nihilo, ma molto probabilmente da un percorso “carsico” attraverso il quale lo si era custodito oralmente. In effetti, la “rinascita esicasta” (XIII-XV secolo), con tutti i suoi prolungamenti e le sue “esplicitazioni”, che portano sino al XVIII-XX secolo (Nicodemo Aghiorita, Paisij Veličkovskij, Optina Pustin’, Pellegrino Russo, Roveto Ardente), ha costituito anche un possente movimento antiumanistico, quindi antiilluminista ed in ultimo antiliberale ed anticomunista (Premessa, pp. 19-33), pure dal punto di vista della pratica “ordinaria”, per il tramite di quello che si può a buon diritto considerare il “centro vitale” della mistica cristiano-ortodossa: la “preghiera del cuore”. A tal riguardo, non è un caso che «l’“esicastizzazione” della coscienza sociale si è combinata con la “socializzazione” dell’esicasmo» (p. 32) e con la penetrazione profonda del messaggio del «monachesimo nel mondo» nella religiosità russa del XX secolo (p. 33). In particolare, la grande stagione di Optina Pustin’, che si ebbe nel corso del XIX secolo, si segnalò anche per un notevole approfondimento della funzione della paternità spirituale, tra l’altro mediante «un’ascesi interiorizzata, fondata sull’apertura dei pensieri (exagóreusis) del discepolo allo starec» (p. 26). Tale apertura implica anche l’analisi dei “movimenti dell’anima”, nel contesto di una netta distinzione tra paternità spirituale e confessione sacramentale: in particolare, già lo Pseudo-Simeone Nuovo Teologo parlava esplicitamente di «spirito» che «dà la caccia, per mezzo dell’attenzione, ai pensieri che soffiano sulla superficie del cuore» (J. Gouillard [a cura di], Petite Philocalie de la prière du coeur [19722], tr. it. Milano, 19996, p. 183; i medesimi concetti sono ribaditi appena dopo [ibidem: «soffi delle passioni» che «si mettono a sollevare l’abisso del cuore», e contro i quali va utilizzata l’invocazione del Nome di Gesù]). La penuria di starcy e la “psicologizzazione” della mistica, avvenuta per lo più in ambito occidentale, porterà alla problematica sostituzione degli autentici maestri spirituali (cui non si confessano i peccati, ma i pensieri), oggi rarissimi, con gli psicoterapeuti.
In specie significativi sono, dal nostro punto di vista, i primi tre capitoli dell’opera di Montanari. Il I (L’esicasmo in Occidente e la prospettiva guénoniana) è anche una storia ragionata del dissidio tra Guénon e Schuon sul carattere dei sacramenti cristiani (pp. 58-75) e della ricezione di Guénon in ambito cattolico (in primis da parte di J. Daniélou, J. Gouillard e J. Borella) ed ortodosso (Sakharov, O. Clément) (pp. 88-121). In particolare, ci paiono degne di nota le pagine che l’A. dedica al concetto di “persona”, con riferimento a Sakharov, ed alle posizioni di Borella, teologo cattolico vicino all’“orientamento tradizionale” che, nel suo notevole Esotérisme guénonien et mystère chétien, del 1997, ha sviscerato la prospettiva guénoniana in specie in relazione al carattere dei sacramenti cristiani. Per quanto concerne la prima tematica, Sofronio, che relativizza l’importanza della tecnica esicasta (pp. 236-237), concepisce l’ipostasi come l’«uomo nascosto nel cuore» (p. 239), «primordiale» (Premessa, pp. 17-18) ed «immortale» (pp. 236-240). Si tratta di un tema, quello della “persona”, che Montanari ha già trattato, con riferimento ad altro contesto storico-culturale (Phersu e persona, in Categorie e forme della storia delle religioni, Jaca Book, Milano, 2001, pp. 155-174; sul tema si veda il pioneristico studio di M. Mauss, Una categoria dello spirito umano: la nozione di persona, la nozione di sé, in M. Carrithers-S. Collins-S. Lukes [a cura di], Della persona, Corrado Lampe, tr. it. Lanuvio 1996, pp. 1-22). A tal riguardo, è bene ricordare come la nozione di persona, inestricabilmente connessa con quelle di “funzione” e di “relazione”, sia passata dall’ambito rituale e teatrale (Etruria, Grecia [prósopon come “maschera” esteriore e “volto” interiore]) a quello giuridico (Roma), quindi a quello morale (come coscienza libera e responsabile: stoicismo) e metafisico (Cristianesimo), ed infine all’“io” della modernità liberale. Marco Aurelio consigliava di «scolpire la propria maschera» (insegnamento tratto da Epitteto), con evidente riferimento al diritto alle imagines, nel senso di forgiare, fissare il proprio “carattere”: in tal modo, un diritto “patrizio” veniva trasposto universalisticamente all’uomo in quanto tale. Ma “persona” non è semplicemente “individuo”, puramente “terreno”: l’uomo è “persona”, infatti, se attualizza la relazione con Dio. Nel solco della tradizione palamita, secondo Sofronio «il passaggio dall’individuo alla persona si realizza mediante la fusione dell’“io” autocosciente con le energie della Persona divina» (p. 237). Questa forma di teologia mistica è stata fino a qualche tempo fa criticata recisamente, in ambito cattolico, con l’argomento che il divinizzato non riceverebbe le “energie”, ma la Persona dello Spirito Santo (si pensi agli studi di M. Jugie, molti dei quali risalenti agli anni Trenta del secolo scorso). Al riguardo di Borella, questi giunge alla conclusione che la tesi guénoniana da lui presa in esame – i sacramenti, originariamente di carattere “esoterico”, sarebbero provvidenzialmente discesi nel piano exoterico a motivo di una specifica congiuntura storica (IV secolo) – costituisce un errore esiziale per la stessa comprensione profonda del Cristianesimo; in altri termini, la dogmatizzazione operata dai primi Concili non equivarrebbe, secondo l’A. francese, ad una exoterizzazione (p. 108). Montanari, in particolare sulla relazione in Guénon tra “esoterico” ed “exoterico”, sembra non consentire con Borella (pp. 106, 115-120); noi ci limitiamo a considerare che non si vede perché si debba seguire Guénon, e non i Padri della Chiesa, presso i quali non v’è traccia della presunta “discesa exoterica” dei sacramenti cristiani: la tradizione, in questo senso, è anche una ermeneutica garantita da consenso e da un’autorità “infallibile”.
I capp. II (Prospettive di una ‘gnosi viva’: Andrei Scrima e l’Occidente) e III (Presenza di Scrima nel ‘Roveto Ardente’) si avvalgono di sottili distinzioni ermeneutiche per rendere conto di una delle più significative mediazioni, spirituali ed intellettuali, tra quelle che hanno caratterizzato, in tempi recenti, i “percorsi” dell’esicasmo in Occidente: quella di A. Scrima, che trasmise la “benedizione” esicasta a religiosi cattolici (pp. 126-133), all’insegna di un “ecumenismo monastico” che coinvolgesse realmente, operando in profondità (alle “radici”), monachesimo cattolico (in particolare benedettino) ed ortodosso. Montanari afferma che «il riferimento alle idee guénoniane è in lui [Scrima] un puro strumento ermeneutico, che egli usa fra altri, in qualche modo privilegiandolo in ragione della sua pertinenza simbolico-tradizionale». Pure, secondo Scrima «riduttiva in Guénon è la tesi che nel Cristianesimo sia esistita una tradizione iniziatica che esso tuttavia avrebbe perduto: tutto sarebbe ora essoterico (dottrina, rito, tradizione)» (p. 141); non a caso, «correggendo Guénon nei suoi stessi termini, Scrima considerava infatti quella benedizione [la “benedizione di grazia” trasmessa dal padre I. Kulygin ad alcuni membri del “Roveto Ardente”] come una vera “iniziazione”» (p. 166). In ultima analisi, quello che Guénon cercava tra le varie confraternite cattoliche (Paraclito, Estoile internelle, etc.), e poi, tramite V. Lovinescu ma senza successo, sul Monte Athos (pp. 49-54), Scrima lo trova (anche “operativamente”) nel “Roveto Ardente”.
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Riteniamo di concludere questa nostra breve recensione con una discussione inerente ad un tema spesso sottovalutato, eppure cruciale: che integra, in qualche modo, quanto affermato in precedenza. Oltre ad un esicasmo in Occidente, è esistito anche quel che potremmo definire un esicasmo di Occidente (con riferimenti al rosario ed anche alchemici), del tutto integrato, sebbene “discretamente”, nella dimensione ecclesiale. Al di là dei celebri casi della mistica renana e di quella carmelitana, la cd. oraison cordiale si diffuse, in particolare in Bretagna, verso la metà del XVII secolo, sulla base della pubblicazione, avvenuta nel 1660, del testo di un vignaiolo di Montmorency, J. Aumont, L’ouverture intérieure du royaume de l’agneau occis dans nos coeurs. In questo libro si raccomandava, come mezzo di rottura dei sette sigilli che attraversano il cuore – ciò che conduce all’inabitazione dell’anima nella luce trinitaria, superando anche l’“attaccamento ai doni di Dio” –, la «preghiera di raccoglimento interiore in Gesù crocifisso, unico mediatore», nell’ambito di un moto interiore di “discesa ascendente” che dalla testa conduca al fondo del cuore (che coincide, nella terminologia mistica occidentale, con l’apex mentis: il “centro” è anche ciò che sta più in alto e più in basso: «come sopra, così sotto, come dentro, così fuori, come nel grande, così nel piccolo» [Ermete Trismegisto]). Il senso profondo di questa “discesa della mente del cuore” cattolica andò presto smarrito, tanto più che proprio alla fine del Seicento il cuore iniziò a essere legato unicamente all’emotività. Montanari rilevava tutto ciò già venti anni fa (La fatica del cuore. Saggio sull’ascesi esicasta, Jaca Book, Milano, 2003, pp. 71-75). A tal proposito, un libro di J.-M. Boudier, L’oraison cordiale: une tradition catholique de l’hésychasme, pubblicato da Harmattan nel 2013, ha contribuito ad approfondire il tema di un “esicasmo cattolico”, commentando ampi passi tratti da M. Le Gall, L’oratoire du cœur, ou méthode très facile pour faire oraison avec Jésus Christ dans le fond du cœur, opera del 1670 che si inscrive nel medesimo milieu spirituale di Aumont (Le Gall era però monaco). Il «fondo del cuore» è, significativamente, la propria «camera» (interiore), in cui Gesù raccomanda di raccogliersi per pregare «nel segreto» (Mt 6,6). Anche se non è stato possibile rinvenire traccia di rapporti storici tra l’esicasmo bizantino e l’oraison cordiale cattolica (per la verità ciò sembra improbabile, viste le distanze tra la Bretagna ed i luoghi dell’Oriente cristiano e la riservatezza dei rispettivi ambienti, per di più caratterizzati da “mentalità religiose” non facilmente componibili), le analogie paiono talmente stupefacenti che una certa “concordanza” di temi e finalità fondamentali (la discesa della mente nel cuore, luogo dell’incontro con Dio; la ripetizione del Nome di Gesù; il carattere “metodico” dell’orazione, etc.: tutti volti alla “divinizzazione” dell’orante) appare innegabile. Le contingenze storiche – soprattutto la caratterizzazione della Chiesa romana in senso “temporale”, a partire dal Basso Medioevo, e il timore del pericolo “quietista”, più o meno coevo alla “divulgazione” dell’oraison cordiale – hanno forse evitato che alcuni “percorsi carsici” si manifestassero più evidentemente in superficie: con il che, l’alternativa si ridusse a una scelta quasi obbligata tra interiorizzazione (“dissimulazione”) e moralizzazione devota e “doloristica”. Ma, forse, è proprio individuando e recuperando questa interiorizzazione escatologicamente connotata, “esperienza semantica” (Borella) accessibile ora e a tutti i battezzati pur nell’“inferno del mondo moderno” (Evdokimov), che si possono maneggiare adeguatamente gli strumenti ermeneutici atti all’analisi dei fenomeni spirituali qui considerati, anche “operativamente” ed in vista di un autentico e proficuo “ecumenismo dei contemplativi”.