Da qualche tempo, anche in Italia, il pensiero di Heidegger sta monopolizzando l’attenzione degli intellettuali politicamente corretti. Il dibattito è stato inaugurato dalla pubblicazione dei Quaderni Neri del filosofo tedesco per la Bompiani, nonché dal saggio di Donatella Di Cesare, Heidegger e gli Ebrei (Bollati Boringhieri). Inutile dire che l’esito mediatico di tale contesa teorica si è limitato a stigmatizzare la scorrettezza politica del filosofo considerato massimo pensatore del Novecento. Si contestano ad Heidegger due cose: l’assunzione del rettorato dell’Università di Friburgo nel 1933, con la conseguente, sia pur limitata nel tempo, adesione al partito nazista e le affermazioni antisemite dei Quaderni Neri. Heidegger non è presentato come pensatore sic et simpliciter nazista, ma viene giudicato “compagno di strada” dell’hitlerismo e dei suoi crimini. Nessuno si azzarda ad individuare responsabilità dirette del filosofo di Friburgo, ma gli si imputa connivenza con il clima culturale dell’epoca, propedeutico all’avvento della dittatura e alle persecuzioni antiebraiche.
Le polemiche sono state rinfocolate in questi giorni dalla pubblicazione di un breve ma significativo appunto manoscritto sinora sconosciuto del filosofo, in un articolo firmato da Thomas Vasek, redattore capo della rivista filosofica Hohe Luft, apparso sul supplemento culturale della Frankfurter Allgemeine Zeitung del 30 dicembre scorso, con il titolo Ein spirituelles Umsturzprogramm (Un programma di sovvertimento spirituale). Nell’appunto si legge quanto segue: “Quando una razza ha perduto il contatto con quello che solo ha e può dare durevolezza – col mondo dell’Essere (das Seyns) – allora gli organismi collettivi da essa formati, qualunque sia la loro grandezza e potenza, sprofondano fatalmente nel mondo della casualità”. Si tratta di una citazione dall’opera di Julius Evola, Rivolta contro il mondo moderno (1934), più precisamente dalla sua edizione tedesca del 1935, la cui traduzione venne riveduta dal poeta Gottfried Benn.
Il fatto, al fine della ricostruzione filologica dei percorsi di Heidegger e di Evola, è rilevante: ad oggi nell’opera di Heidegger non erano mai state rinvenute citazioni evoliane, né riferimenti espliciti a posizioni a lui riconducibili. A seguito del ritrovamento di Vasek una cosa è asseribile con certezza: Heidegger lesse Evola e ciò conferma la posizione di primo piano del tradizionalista nel panorama europeo. Negli anni Trenta la filosofia evoliana ebbe vasta circolazione in Europa e fu discussa negli ambienti intellettuali della Rivoluzione Conservatrice. Benn scrisse una recensione entusiastica a Rivolta sulla rivista Die Literatur. Lo ha ricordato Angelo Bolaffi in un articolo, Heidegger & Evola. Così il filosofo copiò l’antisemita, apparso il 4 gennaio su La Repubblica. Bolaffi sembra sposare la tesi di Vasek nel riferire che i due pensatori lessero la modernità in termini negativi, ritenendola caratterizzata da dissoluzione spirituale e atomismo sociale. Per entrambi il trionfo della razionalità astratta, della ragione calcolante ed utilitarista, sarebbe la causa della decadenza della civiltà europea. Tanto per Vasek quanto per Bolaffi, l’appunto inedito di Heidegger confermerebbe la prossimità della sua teoria dell’oblio dell’Essere all’idea di Tradizione di Evola. A questo punto, nei due articoli, si passa dalla discussione della critica alla modernità, all’antisemitismo: il razzismo spiritualista di Evola sarebbe sintonico all’antisemitismo metafisico del pensatore tedesco. Heidegger, nella cultura tedesca avrebbe potuto rintracciare su questo tema referenti di spessore (Lutero docet!) e non avrebbe, di certo, dovuto scomodare Evola. Inoltre, nell’inedito non si fa cenno a tematiche antisemite: Heidegger si riferisce semplicemente alla dimenticanza dell’ethos dei popoli, indotto della decadenza moderna e dell’oblio della Tradizione. Sembra quindi che il manoscritto heideggeriano non abbia fatto compiere passi in avanti al dibattito sui due autori, come è stato sostenuto da Adriano Scianca (Heidegger dà un altro dispiacere agli heideggeriani: leggeva anche Evola, in Il primato nazionale del 5 gennaio), in quanto gli intervenuti hanno esclusivamente preso in considerazione tematiche razziali, implicanti condanna e rifiuto. Nonostante la volontà di “comprensione” mostrata da Vasek e da Bolaffi che, in altri casi, è risultata del tutto assente, l’analisi della possibile relazione tra i due pensatori è anche da loro “costretta” negli angusti limiti del razzismo. L’antimodernismo propositivo che accomuna i due filosofi è stato sottovalutato. Forse le citazioni maledette dei Quaderni Neri non sono risultate sufficienti per condannare alla damnatio memoriae Heidegger? Era necessario insistere sul tema e calcare la mano coinvolgendo nella polemica Evola? A proposito dell’antisemitismo del tedesco, vogliamo riferire il giudizio di Hans-Georg Gadamer, allievo che si allontanò dal maestro “sciamano” e che fu totalmente alieno da simpatie per il nazismo. Alla domanda: “Si è spesso detto che Heidegger fosse antisemita”, così rispose: “…è un’immane sciocchezza” (in A. Gnoli e F. Volpi, I filosofi e la vita, Bompiani, Milano 2010, p. 88). Per quanto attiene ad Evola, l’estraneità al razzismo biologico e da “gregge” della Germania hitleriana, le ripetute polemiche nei confronti di Rosenberg, sono da tempo note. Come rilevò Gian Franco Lami la sua fu via realizzativa “meta-biologica” che, superando il condizionamento “istintuale”, spingeva su una linea ascendente capace di lasciarsi alle spalle l’orizzonte “naturale”
Riteniamo che, nel mare magnum della filosofia heideggeriana ed evoliana, vi siano altre questioni da approfondire e da dibattere che, per la loro urgenza, non possono più essere eluse con supponenza.
Auspichiamo che la scoperta dell’inedito stimoli altre ricerche sui rapporti Heidegger-Evola, sulla scorta di segnavia già individuati. Stefano Zecchi, nella prefazione a Cavalcare la tigre, definì Evola “filosofo della responsabilità” in un’epoca di dissoluzione, rilevandone un limite esegetico: l’aver letto il filosofo dell’Essere quale esistenzialista. Oggi sappiamo che l’ontologia di Heidegger custodisce altre verità. Le intuì Luisa Bonesio (Evola e la critica della modernità, in www.est-ovest.it, 25 settembre 1998) nel sostenere che “…il pensiero…di Heidegger…è accostabile alla prospettiva della Tradizione, quasi a rappresentarne una ‘traduzione’ filosofica ed essoterca”. La centralità speculativa di Evola è stata sostenuta da Franco Volpi nello scritto introduttivo ai Saggi sull’idealismo magico, mentre la “rivalutazione” del filosofo romano è stata condotta secondo modalità ancora più radicali, da Massimo Donà nella introduzione a Fenomenologia dell’Individuo assoluto e da Romano Gasparotti in quella a L’individuo e il divenire del mondo. Il filosofo dell’arte veneziano conclude tale testo sostenendo che fare i conti con Evola è diventata “…un’urgenza davvero non ulteriormente rinviabile”. Ecco, è lungo quest’asse esegetico, che avvicina Heidegger ed Evola sine ira et studio, che dovrà muoversi la futura ricerca, perché come ha suggerito la Bonesio “occorre sapere che l’occultarsi della Tradizione, il suo ammutolimento, vanno custoditi come tali, senza illudersi di poter ritrovare la trasparenza dei simboli”, la Tradizione va pensata come seme di un Nuovo Inizio.