È da poco nelle librerie, grazie alla solerzia e alla sensibilità culturale dell’editore Luciano Lucarini, una nuova pubblicazione evoliana. Come da noi preannunciato in un precedente articolo comparso su queste pagine, si tratta della raccolta degli articoli che il filosofo romano scrisse per la prestigiosa testata Rassegna Italiana, diretta da Tomaso Sillani (J. Evola, Rassegna Italiana (1933-1952), a cura di G. F. Lami, i libri del Borghese, Roma 2012). Quest’organo di stampa apparve nel panorama nazionale, in un momento storico cruciale: nel 1918, anno che segnava, da un lato, la fine del conflitto mondiale, ma nelle attese della redazione della Rassegna,anche la definitiva apertura della politica italiana all’Europa, l’ingresso del nostro paese, con un ruolo di primo piano, nel consesso internazionale. La vita di Rassegna italiana è stata condizionata naturalmente dei contraccolpi politici che segnarono profondamente quegli anni: cessò le pubblicazioni nel 1943, nel momento più tragico del secondo conflitto, per tornare in distribuzione nel 1950, quale organo del “Centro italiano per la riconciliazione internazionale”.
Pertanto, anche la collaborazione di Evola risentì dei cambiamenti del clima politico. Il nome del tradizionalista comparve, per la prima volta, sulla testata nel 1931, in una recensione che Salvatore Rosati dedicò al volume La tradizione ermetica. In essa, l’autore non lesinò lodi alla competenza evoliana, in riferimento alle vie di realizzazione occidentali e orientali. In seguito lo stesso Rosati, ma anche altre eminenti firme del periodico, dedicarono attenzione ad altre pubblicazioni del filosofo, cogliendo come il suo fondamentale insegnamento, lo ricorda l’accorto curatore della raccolta in prefazione, consistesse, nei diversi ambiti di indagine, nel tentare di aprire lo spirito individuale e comunitario, a significati trascendenti la quotidianità dell’esperienza. In ogni caso, Evola iniziò ufficialmente a collaborare alla rivista nel 1933, negli anni in cui il Regime aveva nel paese un consenso ampio e diffuso. Il suo ultimo pezzo comparve nel 1942, anche se dopo la guerra, nel 1952, la sua firma riappare in un articolo dedicato alla Rivoluzione Conservatrice.
Nel dopoguerra, quindi, la collaborazione di Evola viene meno nel momento in cui la destra istituzionale, mira a proporsi come partner di governo dei partiti centristi, in quanto la presenza, anche in Rassegna, di una significativa componente confessionale e clericale, spingeva le scelte editoriali della testata ad appoggiare le politiche del centro democristiano. Al contrario, l’apprezzamento del Direttore e della redazione per l’operato di Evola erano stati determinati, nel periodo precedente, dalla conoscenza della situazione politica, ma soprattutto culturale, dei paesi di lingua tedesca, riconosciuta al filosofo che, da sempre, aveva avuto frequentazioni e relazioni con intellettuali d’Oltralpe. Non è casuale, quindi, che il primo articolo del pensatore della Tradizione, presentato da Lami in questa sua ultima fatica esegetica, prima dell’improvvisa scomparsa avvenuta nel 2011, sia dedicato all’analisi della Nuova Oggettività, il movimento intellettuale e artistico che fiorì nei primi anni trenta in Germania, ad opera di Motzke.
Evola precisa, nell’incipit, di preferire l’espressione Nuova Essenzialità, ma valuta, comunque, positivamente il tentativo tedesco, in quanto in grado di indurre l’effettivo superamento dello scacco esistenziale, cui l’uomo europeo era stato condotto dal razionalismo illuminista e dal sentimentalismo romantico. Più in particolare, l’approccio di Nuova Oggettività al reale, consentirebbe di recuperare la visione classica del mondo, centrata sulla corporalità dell’anima di tutte-cose, mediante il ritorno all’elementarità della vita, al suo freddo rigore. In ciò Evola, ricorda Lami, mostra un’evidente vicinanza alla riproposizione della fusis in Hiedegger, della natura in senso greco. Infatti, Nuova Oggettività, è il percepire la coincidenza di idealità e realtà, in un equilibrio di contenente e contenuto. Tale visione è latrice di uno scetticismo speculativo positivo, in grado di tradursi in uno stile interiore, che sospinge l’esistenza, in senso eminentemente trascendentale, all’alto. È esattamente tale atteggiamento spirituale, che permette ad Evola negli scritti successivi, di contrapporre alle forme degradate del politico proprie della modernità, le liberal-democrazie capitaliste ed il sovietismo, l’alternativa dell’Impero, letto dal pensatore come il totalmente altro rispetto a qualsivoglia cosmopolitismo.
Il carattere profetico, tratto costitutivo della filosofia di Evola, mai come nella trattazione della Nuova Oggettività, mostra la sua attualità. Infatti, in questi ultimi mesi, come reazione al decostruttivismo del pensiero e dell’arte postmoderna, nel panorama culturale del nostro paese, ma non solo, hanno fatto sentire la loro voce movimenti di idee che, sia pure per vie diverse, alla Nuova Oggettività si richiamano anche per conferire dignità al Politico. Ciò è testimoniato dalla pubblicazione del volume curato da S. Giovannini, Per una Nuova Oggettività. Popolo, partecipazione, destino (Heliopolis, 2011), che nelle posizioni evoliane ha uno dei suoi antecedenti, ma anche dal significativo lavoro di M. Ferraris, Manifesto del nuovo realismo (Laterza, 2012), per non citare che alcuni dei testi che, in argomento, stanno animando il dibattito filosofico contemporaneo.
Anche gli altri articoli evoliani (in alcuni casi si tratta di veri saggi), apparsi sulla Rassegna, sono particolarmente significativi, tanto per le proposte specifiche che presentano, quanto per l’ausilio che possono fornire per una corretta esegesi dell’iter della filosofia del tradizionalista.
In particolare, dalla lettura della raccolta che presentiamo, si evince che il colloquio di Evola con Gentile, nonostante sia stata sottolineata, da parte della critica, soprattutto la distanza tra i due, è una costante della via filosofica di Evola, tanto che il pensatore romano sembra condividere, in queste pagine, le critiche al Fascismo che, larvatamente, erano emerse anche nei testi del pensatore di Castelvetrano. Più in generale, questi articoli testimoniano l’azione di costante educazione, di paideia in senso classico, tentata da Evola nei confronti del proprio tempo, mirata a formare un tipo umano che si levasse a spirito vivente della nuova spiritualità, valido non solo per il caso nazionale e per la data contingenza storica, ma universalmente capace di farsi testimone vivente della dedizione al bene comune. Per questo, egli confidò, in assonanza con le posizioni di Spann e della sua “Scuola di Vienna”, nell’affidabilità di una struttura nobiliare, di un “Ordine”, disponendosi a paladino dell’ideale romano, in evidente alternativa imperiale al III Reich, in quanto i tedeschi avevano degradato l’idea di nazione a quella di razza biologica.
È significativo l’emergere del rifiuto, nettissimo e ribadito in più occasioni, del naturalismo, che congiungeva, in un medesimo atteggiamento condiviso, la casta borghese e quella servile, e che riaffiorava anche nelle correnti “sangue e suolo” del nazional-socialismo. Di qui, la chiara presa di posizione e di distanza riguardo all’uomo mediterraneo di Clauss, ma anche riguardo all’uomo nordico del Volk di Rosenberg. Insomma, dagli scritti evoliani di questo secondo decennio dell’era Fascista, emerge la ferma convinzione dell’autore che, solo la cultura “vera”, in grado di aprire all’alto, di ricondurre l’uomo alle energie del cosmo, avrebbe saputo trasformarsi in alimento per individualità emergenti, viatico di idealità rinvenute lungo il percorso della rinascita spirituale ed etica.
Alla luce di queste posizioni, tutti gli scritti della Rassegna italiana richiamano a una Città davvero dai confini sovra-nazionali e permettono di cogliere come nel Fascismo per Evola fosse apprezzabile quel che, sotto il velo innovativo delle forme e della storia patria, consentiva di riconnettersi alla Tradizione eterna.
Conclusivamente, pensiamo che la raccolta evoliana qui presentata, sia tra quelle curate dalla Fondazione Evola di G. de Turris, una tra le più stimolanti, significative e attuali. Per questa ragione ci sentiamo di consigliarla vivamente ai lettori de il Borghese, quale miniera intellettuale nella quale rintracciare le argomentazioni che effettivamente ci possano consentire di pensare ad un Nuovo Inizio, ad un’altra modernità.