Il volume La stampa del regime 1932-1943 curato da Nicola Tranfaglia con la collaborazione di Bruno Maida (Bompiani, 2005) fa sorgere almeno un paio di problemi circa i rapporti fra Julius Evola e il fascismo. Infatti, il libro, come dice il sottotitolo, raccoglie “le veline del Minculpop per orientare l’informazione”: però, si avverte, “per quanto riguarda le veline non si tratta di una raccolta completa sebbene, a nostra conoscenza, è la più ricca e sistematica esistente” (p.6). Divisa per cinque grandi temi riunisce circa 350 pagine di “ordini alla stampa”, più un altro centinaio dedicate ai saggi introduttivi e alle presentazioni delle sezioni. In queste “veline” il nome di Evola è citato tre volte e solo una di esse si conosceva fino ad ora. Esaminiamole:
1) “Fare un’accurata recensione del libro di Evola sul razzismo” (12 settembre 1941).
È la “velina” già nota essendo apparsa sui libri di Claudio Matteini (Ordini alla stampa, Editrice Polilibraria Italiana, Roma 1945, p.163), che per distrazione o refuso Tranfaglia/Maida attribuiscono ad una “Editrice Poligrafica”, e di Fausto Coen (Tre anni di bugie, Pan Editrice, Milano 1977, p.111), libro quest’ultimo che Tranfaglia/Maida non citano e forse non conoscono, e si riferisce a Sintesi di dottrina della razza, come ricorda la nota del libro di Tranfaglia. Quel che non si dice è che essa venne diffusa il giorno stesso dell’incontro che il filosofo ebbe con Mussolini a Palazzo Venezia accompagnato dal ministro della Cultura Popolare, Alessandro Pavolini. Per la cronaca la raccomandazione ottenne qualche risultato: recensioni del libro apparvero su La Nazione del 18 ottobre, sul Lavoro fascista del 23 ottobre, sul Corriere della Sera del 25 novembre. Ne parlò con tono particolarmente critico, innescando una polemica, Ugoberto Alfassio Grimaldi di Bellino su Civiltà fascista del febbraio 1942, storico che nel dopoguerra scrisse molti libri dedicati al fascismo e del cui iperfascismo e iperrazzismo durante il Regime nessuno si è mai ricordato…
2) “È stato raccomandato di tenere presente che Evola non deve più scrivere sui giornali italiani” (1 giugno 1934).
Questa “nota di servizio” apre un primo problema. Che il filosofo venisse ostracizzato in un certo momento della sua carriera si sapeva e lo racconta lui stesso, ma questo momento si situa quattro anni addietro, cioè al momento della chiusura forzata de La Torre nel giugno 1930. Evola dovette attendere che si creasse e consolidasse il rapporto con Giovanni Preziosi e quindi con Roberto Farinacci per ricominciare a scrivere: prima su La Vita italiana (marzo 1931) e quindi Il Regime fascista (gennaio 1933). Però già vari articoli aveva nel frattempo pubblicato su L’Italia letteraria e La nobiltà della stirpe, mentre continuava ad essere ospitato sulle pagine di Vita nova, e proprio nello stesso gennaio 1933 avrebbe iniziato una parallela collaborazione al quotidiano di Ferrara Corriere padano diretto da Nello Quilici e che faceva riferimento a Italo Balbo. Dall’aprile 1933 scriveva anche sull’autorevole La Rassegna italiana e proprio alcuni mesi prima della “velina”, dal febbraio 1934, aveva preso avvio una sua assidua presenza sull’ancor più autorevole Lo Stato, il mensile di Carlo Costamagna. Sarebbe stata poi la volta di un altro quotidiano, il Roma di Napoli (febbraio 1934), e dell’ufficiale Bibliografia fascista (marzo 1934).
Che senso ha dunque questa “velina”, considerando che dopo di essa non è che Evola si vide troncare le sue collaborazioni? Di certo il filosofo veniva guardato ancora con sospetto: ne fanno fede le informative regolarmente raccolte dalla Polizia politica, ma anche una lettera inedita conservata presso l’Archivio Quilici di Roma e che la Fondazione Evola possiede in copia: venne inviata al direttore del Corriere padano Nello Quilici dal capo dell’Ufficio Stampa del capo del Governo Gaetano Polverelli e si conclude con questo capoverso: “Circa la collaborazione di Evola è bene notare che costui non ha precedenti di fascismo e che la sua posizione politica merita di essere chiarita”. La data è 24 gennaio 1933, cioè quando di Evola il quotidiano aveva pubblicato i primi due articoli su argomenti non certo impegnativi politicamente (sul femminismo e una intervista, il 5 e 19 gennaio). Ma ciò non basta a chiarire la “nota di servizio” di un anno e mezzo dopo, soprattutto considerando che non ebbe alcun effetto pratici.
L’uscita di un sua nemico personale in alto loco? Il fuoco di paglia per qualche resipiscenza burocratica? Una ritorsione per la pubblicazione di Rivolta contro il mondo moderno che era verosimilmente uscita nel marzo 1934? Oppure il raccomandato ostracismo venne evitato per l’appoggio che Evola ormai aveva da parte di Farinacci, un gerarca comunque sempre influente? Un articolo di Julius Evola, Mussolini temeva l’influsso della magia? apparso sul Roma il 30 luglio 1954, riprodotto nel volume Esoterismo e fascismo (Edizioni Mediterranee, 2006), complica non chiarisce la questione. Vi si legge infatti: “Ciò accadde verso il ‘31. Alla direzione di vari giornali ai quali collaboravo, all’improvviso pervenne l’ordine di non accogliere più i miei scritti”. Un ricordo congruo con la ricostruzione dei fatti e lo sviluppo delle collaborazioni evoliane appena effettuata, perché si situa dopo la brusca chiusura d’autorità de La Torre, ma incongruo con la data del 1934 indicata per questa “velina” nel volume La stampa del regime: ci furono allora due “ordini di sevizio”, uno del 1931 e uno del 1934? la citazione del volume è invece errata? oppure Evola ricorda male? Poiché nell’articolo citato il filosofo afferma di aver incontrato per avere spiegazioni Gaetano Polverelli, capo dell’ Ufficio Stampa del capo del governo (il nucleo da cui sarebbe nato nel 1935 il Ministero), il ricordo sembra esatto, dato che Polverelli resse quella carica dal 1931 all’agosto 1933 (la lettera a Quilici è dell’inizio di questo anno), quando gli subentrò Galeazzo Ciano.
3) “Si deplora l’articolo di Evola (‘Gazzetta del Popolo’) sulle non meglio identificate bande che infesterebbero le spiagge (ormai deserte) e le stazioni di sport invernali mentre è risaputo che tali stazioni sono quest’anno chiuse” (1 novembre 1942).
L’articolo cui si allude è Quelli delle “bande” che affronta l’argomento delle bande giovanili di ragazzi e ragazze ancora oggi attualissimo: non pare siano trascorsi oltre settant’anni. Il problema però è che esso uscì proprio il 1 novembre ma non sulla Gazzetta del popolo bensì sull’altro quotidiano di Torino, La Stampa, come si può leggere nella antologia pubblicata dalle Edizioni Heliopolis per la Fondazione Evola a cura di Gian Franco Lami e Alberto Lombardo. Dunque, i casi sono due: o c’è stato un lapsus calami dell’estensore della “velina” che si è confuso tra i due giornali torinesi; oppure effettivamente Evola scriveva anche sull’altro, un po’ come avveniva sovente per le collaborazioni interscambiabili e minimamente ritoccate ma pubblicate a qualche distanza di tempo de Il Regime fascista di Cremona e il Corriere padanodi Ferrara: ma lo stesso articolo nello stesso giorno in due quotidiani della stessa città?
Una citazione a parte si deve fare per la nota biografica dedicata al pensatore romano pubblicata a p.428 de La stampa del regime. Cinque righe e mezzo che comprendono due errori marchiani d’interpretazione ed uno di data, il che dovrebbe far ritenere che non l’abbia redatta Nicola Tranfaglia, bensì il suo co‐autore o qualche oscuro collaboratore: la faziosità non obbliga ad essere ignoranti e soprattutto contraddittori con quanto scritto poche pagine prima (p.425), la dove si afferma precisamente che Sintesi di dottrina della razza venne pubblicato nel 1941, mentre a p.438 la data è 1938… I veri e propri sbagli interpretativi (peraltro non nuovi presso certi storici) sono l’affermazione che Evola “contribuì in modo significativo all’elaborazione del razzismo biologico italiano”, e che Rivolta contro il mondo moderno “rientrava nelle sue posizioni estremistiche all’interno del fascismo che gli valsero molti ostracismi”. Sulla prima affermazione è quasi inutile soffermarsi: è un luogocomunismo di certa storiografia italiana, nonostante tutte le prove documentarie in contrario, ma soprattutto nonostante quanto hanno affermato (ancorché criticamente) non solo il lontano De Felice, ma i recenti Israel e Raspanti, e i recentissimi Pisanty e Canosa. Sulla seconda affermazione che dire? Forse che è un’interpretazione inedita da parte di chi non sa neppure di cosa tratti il libro, oppure di chi ‐ in questo caso i curatori del citato volume ‐ hanno dedotto tutto questo dalla “velina” del 1934 che raccomandava di non far più scrivere Evola! Così si fa ancora la storia, nei suoi particolari, in Italia.