Si conclude, con l’esito positivo della ricerca condotta da Alessio de Giglio, la nostra pubblicazione dell’epistolario Evola-Tilgher. Si tratta di uno stralcio significativo della vita dei due Personaggi, e si tratta di un sussidio non indifferente, nella ricostruzione storica e critica di entrambi.
Non sta certo a me, in questa modesta introduzione, di tracciare le linee interpretative delle cinque lettere riportate nella presente sezione del sito, ciò non di meno, devo sollecitare la curiosità del Lettore, che ne apprenderà notizie di sicuro interesse, oltre a certi aspetti del carattere evoliano, a dir poco, inusuali. Per quanto mi riguarda, devo invece ringraziare la disponibilità e la competenza del Curatore della raccolta, e non tanto per il fastidio che si è preso, nell’andare e nel riandare alla fonte informativa, fino a ottenere un risultato altamente attendibile, quanto per la qualità del suo commento, che dimostra in lui un livello considerevole di conoscenza dei protagonisti dell’Avanguardia culturale italiana del Novecento
Gian Franco Lami
Il “resto”, che aspettava di venir pubblicato e che qui di seguito presentiamo, conta cinque lettere: il magro bottino di un tempo che le ha sottratte a lungo alla nostra curiosità. Svelato ora il segreto settantennale della Fondazione A. Tilgher, cui sono affidate, l’importanza di queste poche missive è sotto gli occhi di tutti. A conferma della sospetta sintonia tra “don” Adriano e il “Barone” Evola. Sintonia le cui linee teoretiche ed emozionali Lami ha tracciato ormai diversi anni fa, con una lucidità ancora oggi insuperata, sul numero del periodico FuturoPresente dedicato ad Evola. Alla luce del nuovo, crediamo innanzi tutto necessario frenare gli entusiasmi, se mai ve ne fossero. Quel che s’aspettava, magari la scoperta del motivo traumatico nell’abbandono dell’amicizia, non c’è. E perché mai avrebbe dovuto esserci? La “corrispondenza” tra i due, e non di sole lettere si sta parlando, è maturata durante un lungo periodo attraverso numerose collaborazioni sulle stesse riviste, poiché il giovane Evola era spesso benevolmente introdotto ad esse dal più maturo collega (di giornalismo e di filosofia). Lo schema dei loro contatti, da quel che si evince leggendo le (sole) lettere di Evola, che peraltro aveva la pessima abitudine di non conservare mai le risposte, è sempre lo stesso: con disinvoltura il giovane chiede, talvolta sembra approfittare della disponibilità dell’“egregio” e “stimato” amico che, qui sta il punto, può permettersi di dare. E sì, perché per quanto il tono squilibrato di alcune “pretese” evoliane lasci pensare ad un rapporto a senso unico, sembra sempre che sia Tilgher a tenere il pallino del gioco ideale tra i due. L’amicizia abbandona i protagonisti di questo incontro intellettuale nel 1937, l’anno in cui l’autore del Pragmatismo trascendentale (1915) fa de “il barone Giulio Evola” un referente esemplare nella sua Antologia dei filosofi italiani del dopoguerra (Guanda, 1937), dopo averlo frequentato per più di un decennio; i due si conoscono infatti nel 1924. Poi regna il silenzio. Quel che si esaurisce non ci sembra essere la stima tra i due, ma la passione impossibile di Tilgher nei confronti delle “rappresentazioni magicamente agitabili”. Vogliamo esser chiari a costo di bruciarci tanto più che non saremo gli ultimi, specie se si tratta di Evola, a vedere quello che non c’è. Un filosofo che non vuole diventare mago (ma ve lo immaginate Tilgher con indosso i paramenti magici?) e un mago che non ha mai voluto comportarsi da filosofo: al di là delle oscillazioni teorico-esistenziali a cui li costrinse il loro tempo, non ci sembra che gli estremi della sintonia di queste due esistenze nella e della Avanguardia culturale italiana del primo Novecento debbano essere individuati diversamente. Evola, dai più non gradito e temuto, era forse in cerca di amici, compagni di un itinerario nel proibito e forse anche di sodali, non di colleghi accademici. Non per nulla fu proprio Adriano Tilgher, nome di spicco tra gli ambienti nobili della (contro)cultura, ad essergli il più vicino. E Tilgher era il filosofo accademico ostile al fascismo e nemico dell’idealismo gentiliano. Ora guardiamo le cose da un’altra prospettiva. Avvenuta quella che Lami chiama, seppur con prudenza, l’“ennesima ‘tilgherizzazione’ ai danni dell’Idealismo magico evoliano”, cos’altro aspettarsi se non quella amicizia stellare, per dirla con Nietzsche di cui Tilgher era lettore assai competente, che – anche per via di una contingenza storica assai in-fortunata – li costrinse alla distanza? Il divorzio fu consensuale perché, usiamo un’espressione tipicamente evoliana, “nella forza delle cose”. Tra le poche lettere che stiamo introducendo ce n’è una terna che il “mago dell’idealismo” spedisce a Tilgher sul finire del ’34 dalla sua provvisoria residenza di Villa Vuotto a Capri. Una di queste già la conosciamo (24 ottobre 1934) e in verità il tenore delle altre non cambia. Tra consigli richiesti al ben introdotto Tilgher e squisitezze (in)formali segnaliamo la curiosa pigrizia del Barone che vuole risparmiarsi la faticosa lettura di un “volume sistematico” del collega [probabilmente Filosofi e moralisti del Novecento (1932), più che gli Studi di poetica (1934), benché sulla lista degli “omaggi” tilgheriani esista il nome di Evola in entrambi i casi] e, incredibile dictu, la cessione dei diritti del capolavoro evoliano Rivolta contro il mondo moderno a Tilgher “che ne disporrà come meglio crede per una eventuale pubblicazione”…
Possiamo sbagliarci, tuttavia una stima mista ad un malcelato disprezzo anima queste poche missive. O Evola non disprezzava la ignavia dei “filosofi”, quel che vi è di “perduto” in essi? Leggiamo su Il cammino del cinabro: “[…] in séguito Tilgher doveva deplorare che ‘mi fossi perduto’, quando lasciai dietro di me le forme speculative, passando in campi in cui, data la sua mentalità intellettualistica, egli non poteva seguirmi”. Tilgher (e con lui Calogero) si rammaricarono che Evola si fosse perduto abbandonando la filosofia. Evola si rammaricò che loro non si fossero trovati restando filosofi, e ghignò tutta la sua delusione nei confronti dei professori di filosofia, “piccolo borghesi, professionisti del pensiero speculativo” che non poterono – ma volevano? – seguirlo. L’intesa ci fu – e qui Lami vede benissimo – sotto il segno (ed il sogno) anti-dogmatico, anti-gentiliano e anti-moderno. Le costruzioni teoriche di Tilgher e di Evola sono due obiettivi puntati sullo stesso nemico: il primo non se la sentì di “sparare”, tanto più che si trattava di prendere la mira in anni difficili se non impossibili da sostenere, per una mente “libera” almeno. Il secondo non fu invece vittima della storia o messo in Croce da essa. Vogliamo dire che non venne travolto dal suo tempo e, dalla metà degli Anni Trenta, è protagonista anche politicamente in un senso profondamente estraneo alla visione tilgheriana. Tilgher si arrocca in un isolato e sdegnato dissenso, Evola diventa predatore e preda delle battaglie contingenti. E, paradossalmente, (s)finisce nelle maglie gentiliane dell’idealismo, per quanto “pratico”, “magico” e “agitabile”… Per non parlare poi della questione razziale, e infatti non ne parliamo. Aggiungiamo soltanto che un legame che si spezza non è tale e, di là dalle apparenze di cui la storia veste il destino degli uomini, siamo sicuri che quello di Tilgher e di Evola sia oggi più attuale e stretto che mai. Ma di questo dovremo occuparci, se ce ne sarà data la possibilità, in altro luogo e momento. Ora apriamo le lettere.
Alessio de Giglio
[Avvertenza: le parole in corsivo rosso sono di dubbia lettura]
Lettera n. 8
4-X-930
Caro Tilgher,
Ecco dunque l’articolo.
Badi a non perdere la fotografia, che si potrebbe pubblicare anonima.
Il titolo, e così pure ciò che meglio crede, può cambiarlo.
Oltre ad un articolo uscito a fine agosto sul Tevere e un altro su Vita Nova (nel prossimo numero ce ne sarà ancora uno) si può accennare che sia sul Völkischer Beobachter che sul Neues Wiener Journal si è parlato recentissimamente di me, come uno “dei principali teorici del fascismo”.
Grazie e affettuosamente
J. E.
Lettera n. 9
Roma, 2 luglio 1932
La mia opera inedita “Rivolta contro il mondo moderno”, il mio unico manoscritto si trova presentemente in esame presso la casa Verlag Georg D. W. Callwey München, Finkenstrasse 2, passa in proprietà di Adriano Tilgher che ne disporrà come meglio crede per una eventuale pubblicazione
J. E.
Lettera n. 10
Capri, 2.10.34 (Villa Vuotto)
Carissimo Tilgher,
La ringrazio della Sua cartolina e della Sua cortese prontezza ad interessarsi a passare i miei articoli al “Popolo di Roma”.
Mi è permesso di rinnovarLe la preghiera fattaLe, di farmi sapere quanto prima con chi è che devo o posso mettermi in rapporto per la mia ripresa collaborazione e per l’invio stesso dei ms? [sic].
Ritengo che il contrordine sia giunto là anche in via ufficiale, solo non so in che termini.
La ringrazio anche per avermi fatto inviare il Suo nuovo volume.
Eine Schwierigkeit, es bald zu besprechen, liegt darin, dass durch die untergeschiedenen “Elemente” (die aber ihren Satz nicht lassen dürfen), an dem Stahl ich ausgeprägt bin.
L’altro ostacolo, è che un libro Suo sistematico di 800 pagine lo leggerei immediatamente e volentieri, ma mi viene particolarmente ostile dover seguire idee e persone che non mi interessano affatto per poter estrarre, attraverso i Suoi giudizi, la Sua veduta.
In ogni caso, mi riservo di scriverLe di nuovo in proposito e Le sarei grato se, all’occasione di qualche informazione, volesse tornarmi intanto il ms. su Comi.
Con molta cordialità mi creda sempre
Suo
J. E.
Lettera n. 11
CAPRI 10. 10. 34 (Villa Vuotto)
Caro Tilgher,
Schönen Dank per la sua cartolina.
Il suo libro si è messo ormai a fare il “convitato di pietra” al centro del mio studio caprese, e bisognerà bene che mi accinga ad affrontarlo, destando in me il senso sconosciuto del rimorso. Per ora, serve intanto a far conoscere la Sua esistenza a molteplici femmine, se Dio vuole, non letterate né filosofe. Per il “Popolo di Roma”, Le unisco una lettera dell’Ufficio Stampa, a cui avevo scritto a causa della limitazione non contemplata nel nostro accordo.
Se ancora vuole occuparsi un momento di me a tale riguardo, vorrei sapere a chi, in tale giornale, devo inviare gli articoli. Ciò, perché so per esperienza che inviarli al direttore in persona è volerli fare passare nell’Ade, con speranze assai a lunga scadenza di resurrezione.
Mi creda sempre suo aff.mo
J. E.
Lettera n. 12
Capri, 5.11.34 (Villa Vuotto)
Carissimo Tilgher,
grazie del cortese interessamento che ha condotto alla pubblicazione del precedente articolo. Se non abuso, qui ne unisco un altro ancor più idiota e “romano”, che dovrebbe essere avviato verso lo stesso esito.
Ha avuto la mia cartolina con l’accenno circa “Regime Fascista”? Farà dunque qualcosa?
In fretta, perché una femmina è già in lunga attesa sulla piazza, mi creda, un cordialissimo saluto
Suo
J. Evola