Ieri ha compiuto ottant’anni il cantante Mal dei Primitives, e l’Ansa – giustamente – ha fatto un lancio, ripreso dai principali quotidiani, che ricorda la sua importante carriera musicale, dalle “canzonette” degli anni Sessanta a Parlami d’amore Mariù, dalla sigla di Furia cavallo del West fino ai brani più recenti, adeguatamente riproposti su tutte le piattaforme. Arrivare a quest’età ancora in grado di lavorare è molto bello, ed è giusto che il mondo dello spettacolo celebri un tale protagonista della canzone italiana. Peccato che, invece, non sia accaduto la stessa cosa per un protagonista del mondo della cultura, che il 19 febbraio ha compiuto, perfettamente attivo, la stessa età: Gianfranco de Turris.
Giornalista e scrittore, curatore delle opere di Tolkien, Evola e Lovecraft, solo per citare i suoi principali autori di riferimento, ha lavorato come giornalista radiofonico prima al Gr della Mezzanotte, poi al Gr2, come vice-caporedattore cultura del giornale radio; ha, inoltre, collaborato a innumerevoli quotidiani e riviste, diretto collane di libri di saggistica e narrativa, curato alcune centinaia di opere italiane e straniere e firmato quasi trenta libri; ancora oggi continua, instancabile, a scrivere, pubblicare, curare antologie e, soprattutto, incoraggiare schiere di giovani e meno giovani studiosi e (aspiranti) autori, sempre disponibile a imbarcarsi in qualsiasi iniziativa editoriale o culturale che lo interessi. Eppure, per il suo ottantesimo compleanno, l’Ansa non ha battuto nessun comunicato, né alcun quotidiano cartaceo ha ritenuto di celebrare questa importante ricorrenza, forse perché in tutta la sua carriera ha manifestato, coerentemente e civilmente, la sua antipatia per il mainstream culturale imperante.
Infatti, come ricorda Marcello Veneziani in un ritratto scritto in occasione dei sessant’anni di attività del Nostro, de Turris negli anni Settanta era il più giovane di quella generazione intellettuale “di destra” di epoca postfascista: da Enzo Erra a Fausto Gianfranceschi, da Piero Buscaroli a Claudio Quarantotto, da Giano Accame a Fausto Belfiori, per Veneziani, Gianfranco de Turris aveva raccolto il testimone di Adriano Romualdi, scomparso precocemente. De Turris, insomma, è una specie di “esule in Patria”, come Marco Tarchi ha brillantemente definito gli sconfitti della guerra che non si sono voluti omologare nel dopoguerra al conformismo imperante. Ma la passione di de Turris non è – non è mai stata – una passione “politica”, bensì culturale, e questo, se possibile, è un peccato ancora più grave: come sappiamo, è ormai un dogma indiscutibile che la cultura possa essere solo “di sinistra”, dato che, secondo la vulgata corrente, al di fuori del recinto un tempo presidiato da un solido partito politico, oggi vaporizzato dalla cultura woke, non c’è e non ci può essere altro che il nulla cosmico. L’“egemonia culturale”, concetto nella teoria attribuito a Gramsci e nella pratica realizzato dal ceto intellettuale dominante, non tollera che vengano messe in discussione le verità rivelate, difese e spesso imposte dalla «sinistra», termine quanto mai fuori uso, che un tempo indicava i difensori degli sfruttati delle periferie ma che oggi rappresenta i privilegiati delle Ztl.
Ebbene, il merito maggiore della attività editoriale e culturale di de Turris risiede proprio nell’aver infranto questa illusione, dichiarando che il Re era – e oggi lo è ancora di più – nudo: c’è vita fuori dal politicamente corretto e c’è cultura al di là della sinistra. Forse questa vitalità culturale non è adeguatamente rappresentata nei media e sicuramente non è sufficientemente difesa dalla politica che, come sappiamo, quando sente parlare di cultura mette mano alla pistola, ma questo è un problema “politico”, non “culturale”. Infatti, de Turris non ha fatto una carriera sfolgorante, non ha mai ricevuto incarichi prestigiosi e soprattutto non si è mai sporcato le mani con quello che, con felice neologismo, viene oggi chiamato “amichettismo”. Ha sempre aiutato, o cercato di farlo, coloro che gli sono sembrati meritevoli, a prescindere dalle loro idee e premiandone le capacità, spesso ricambiato dalla più totale irriconoscenza, quando non addirittura da esplicita antipatia. Anche in questo un vero gentiluomo, GdT, come lo chiamano amici e conoscenti, non si è mai abbassato a replicare né ha voluto scendere in polemica: come cita uno dei suoi autori preferiti, Julius Evola, sa che «i cani abbaiano, la carovana passa».
De Turris ha imboccato sin da giovanissimo le vie dell’immaginario, addentrandosi lungo «gli itinerari del mito, nella storia e nella fantasia», titolo di una sua bella pubblicazione dedicata alla letteratura fantastica, il suo vero cavallo di battaglia. È in gran parte merito suo se quello che fino agli anni Settanta era considerato un genere letterario di serie B è assurto in Italia alla meritata considerazione, alla pari con la letteratura vera. Fu soprattutto la sua instancabile passione che lo spinse, con il suo grande amico Sebastiano Fusco, ad assumere la direzione delle collane di fantascienza e fantasy della Fanucci Editore, dimostrando, grazie alle dotte introduzioni e al puntuale apparato critico, che in quei romanzi scorreva la linfa del mito e la magia delle fiabe. Allo stesso modo gli va riconosciuto il merito di aver salvato H.P. Lovecraft, oggi unanimemente giudicato un protagonista della letteratura mondiale, dai tagli, dalle pessime traduzioni e dalla scarsa considerazione che gli editor italiani gli avevano fino ad allora riservato. Infine, e questo probabilmente è il peccato più grave di de Turris, ha tolto dal sottoscala dell’occultismo e dall’oscurità delle manipolazioni politiche il più cattivo dei cattivi: Julius Evola. Da alcuni decenni, infatti, cura l’edizione di tutte le opere del “Barone nero”, affidando a studiosi di fama e di ogni orientamento politico e religioso l’introduzione e l’apparato critico, dimostrando così definitivamente che l’innominabile cattivo maestro è un indiscusso protagonista del panorama culturale mondiale del Novecento.
A questo punto, è chiaro perché gli ottant’anni di de Turris non sono stati celebrati dall’Ansa… Pazienza, gli auguri glieli facciamo noi.
(«Il Giornale», 25 febbraio 2024)