Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo l’introduzione a Vita avventurosa di Julius Evola di Andrea Scarabelli. Quella appena data alle stampe da Bietti è di fatto la prima biografia del filosofo romano, che fa luce su molti aspetti della sua vita sinora mai esplorati, in una lunga ricostruzione che si è avvalsa del ricco archivio della Fondazione J. Evola, nonché di molti fondi archivistici pubblici e privati, italiani e non solo.
F.J.E.
Quello che avete tra le mani non è l’ennesimo studio sull’opera di Julius Evola: negli ultimi decenni ne sono usciti molti, che spesso hanno finito per parafrasare quanto detto o da lui stesso o dai “pionieri” dell’analisi del suo pensiero. Scriverne un altro sarebbe semplicemente risultato inutile, andando solo a nutrire la mole insensata di libri pubblicati nel nostro Paese.
Questo libro è qualcos’altro. È la biografia di qualcuno che non voleva essere biografato, la periodizzazione di un pensiero che ha fatto di tutto per librarsi al di là della Storia, salvo poi scommettere sulla Storia stessa. Se va restituito al divenire, non è solo perché vi si è sviluppato – come ogni pensiero –, ma perché ha fatto del confronto con esso la propria chiave di volta.
A lungo la critica si è rifiutata di storicizzarlo, applicando i suoi princìpi all’analisi della sua stessa opera. Operazione non solo sovente puerile (quasi un essere “più realisti del re”…), ma appunto contraria alla stessa azione evoliana che, per quanto “metastorica” e “metafisica”, ha avuto come quintessenza un “interventismo” culturale e politico ignoto ad altri interpreti della Tradizione – René Guénon in primis. Lo hanno notato alcuni dei più attenti studiosi del filosofo, il quale, come ha scritto Hans Thomas Hakl, «si guardò sempre dal lasciar trasparire qualcosa della sua vita privata, affermando che ciò non importava. Importa solo il suo messaggio, e questo è un messaggio impersonale. Ciò può essere anche vero, ma solo fino a un certo punto. Non credo infatti che si possa negare l’influenza della biografia d’un autore sul suo modo di pensare» (Alcune presenze femminili nella vita di Julius Evola, in «La Cittadella», aprile-giugno 2009, p. 40). Analogamente, Sandro Consolato ha scritto: «Un tempo eravamo abituati a leggere Evola in nome dei princìpi atemporali, non solo come “individuo assoluto”, ma anche come “autore assoluto”, cioè ab-solutus, sciolto dalla rete di influenze dell’epoca, o delle epoche, in cui scriveva. Oggi è necessario ricollocare pienamente Evola nei contesti in cui si mosse» (Le tre soluzioni di Julius Evola, Arŷa, Genova 2020, p. 122).
Insomma, il maestro dell’Impersonalità Attiva molto probabilmente non avrebbe gradito un libro come questo, vedendovi una somma di pettegolezzi, «poco interessanti nella grande Storia del mondo» (benché, in realtà, la stragrande maggioranza delle informazioni contenute sia stata diffusa, in un modo o nell’altro, da lui stesso). Ma questa non è una buona ragione per evitare il confronto, superando i due approcci che nel nostro Paese accompagnano da sempre la ricezione del pensiero evoliano, vale a dire un rifiuto aprioristico, che mischia l’ignoranza alla malafede, e una venerazione agiografica ai limiti del feticismo.
Il pensiero di Evola è molto più complesso di quanto credono critici e vestali, ma anche di quanto lui stesso ha scritto di sé in quella che spesso viene definita la sua “autobiografia spirituale”, Il cammino del cinabro, pensata d’altronde come una guida alle sue opere. Una “guida” che divide per “fasi” un pensiero continuo, limando le asperità, nascondendone alcune e rendendo “lineare” (come fanno tutte le autobiografie) un percorso fatto di rotture e ripensamenti, in cui Evola non manca di criticare ferocemente – magari a distanza di una manciata di mesi – il simulacro di ciò che è stato. Ovvio che esiste una “linearità”, ma non è detto che sia sempre quella indicata dall’autore, persino se dotato di un’“equazione personale” tanto potente quanto quella evoliana. Nessuna autobiografia è in terza persona.
Questo libro, insomma, non è la parafrasi de Il cammino del cinabro, che, scritto agli inizi degli anni Sessanta, parla a bocce ormai ferme, dopo che varie esperienze si sono già consumate e certi superamenti hanno già avuto luogo. Esperienze e superamenti che vanno quindi ripercorsi e “problematizzati”, tornando agli scritti del periodo e a materiali inediti, d’archivio, epistolari e così via, insieme alle testimonianze vive di chi lo ha conosciuto. È su documenti del genere, rintracciati in anni e anni di ricerche, che è stata strutturata questa biografia.
Basate sull’uscita dei suoi testi, le “fasi” ricostruite dall’Autore negli anni Sessanta hanno inoltre la fastidiosa abitudine di sfumare le une nelle altre. Il mirabolante metabolismo intellettuale di Julius Evola è infatti superiore a quello editoriale, risultando in un certo senso perennemente postumo a sé stesso. Ogni volta che esce un suo studio su un certo argomento, il filosofo si sta già occupando d’altro. È già altrove.
Questa biografia ricostruisce il suo pensiero “incarnato”, partendo soprattutto da articoli, lettere, rapporti di Polizia, materiali che lo raccontano “in presa diretta”. Gli argomenti di cui Evola si è occupato non sono trattati “in blocco”, ma per “fasi”. Ad esempio, non troverete un capitolo unitario sui complessi rapporti tra Evola e il cattolicesimo, ma varie “fotografie” dei momenti di questo rapporto. Lo stesso dicasi per la “questione della razza”, per il fascismo, il nazionalsocialismo e così via. Il criterio scelto è anzitutto cronologico, e intende “drammatizzare” un pensiero in divenire, in sincrono con le contingenze del periodo.
Nella stesura è stata privilegiata una narrazione ibrida. La miriade di note a corredo del testo, che indicano eventuali approfondimenti, insieme alle fonti da cui sono tratte le informazioni (provenienti soprattutto dagli studi di Fabrizio Giorgio, Hans Thomas Hakl, Sandro Consolato e Marco Rossi), è stata collocata in fondo, per non interrompere la lettura. Il consiglio è di leggerlo liberamente, come una storia che pochi hanno raccontato, servendosi delle note per necessità bibliografiche. A corredo di tutto, sono state collocate due bibliografie: la prima comprende le opere di Evola, nelle loro varie edizioni, mentre l’ultima raccoglie una selezione di testi utili per orientarsi ed eventualmente approfondire le tematiche trattate.
È da decenni che vari ambienti, piuttosto eterogenei tra loro, manifestano l’esigenza di vedere pubblicata una “biografia” di Evola, critica ma non demonizzante, capace di coglierne lo spirito senza finire nella mitizzazione. Impossibile non ricordare le parole di Piero Di Vona, tra i più attenti studiosi del “pensiero di Tradizione”, che negli anni Novanta scriveva come «uno dei compiti più urgenti che si impongono alla critica storica sia di pervenire a scrivere una biografia esauriente ed imparziale di Evola. Essa dovrà dissipare dubbi e sfatare leggende, se vorrà riuscire veramente utile e non mancare al suo scopo. Chi si accingerà a scriverla dovrà attingere a tutte le fonti disponibili, pubbliche e private, italiane e straniere, amiche e nemiche. Nulla vi potrà essere trascurato o ignorato. […] Molto c’è da chiarire, da collocare nella giusta luce e da ricostruire» (Evola Guénon De Giorgio, SeaR, Borzano 1993, pp. 44-45).
Saranno i lettori a dire se lo scopo sia stato raggiunto o meno, o se quantomeno la direzione intrapresa sia stata quella tratteggiata dal grande studioso.
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Nata da anni di ricerche compiute in una Babele di documenti, archivi e volumi, questa Vita avventurosa di Julius Evola non ha la pretesa di dirsi il testo definitivo sul tema. Come accade spesso, notizie inedite emergono in maniera fortuita e inaspettata, da incontri “casuali” (ammesso che tale termine significhi alcunché). La sua pubblicazione intende scatenare altre “casualità”, magari capaci di svelare alcuni degli enigmi che chi scrive non è riuscito a decifrare.
È auspicabile che il lettore in possesso di documenti o informazioni inedite sul filosofo prenda contatto con l’autore di questo volume o con la Fondazione J. Evola, di modo che a questa prima edizione possano seguirne una seconda, una terza e così via, sempre più esaustive. Il dibattito storiografico – perlomeno, se degno di questo nome – si basa sulla collaborazione. Discorso che vale, in particolare, per l’autore cui è dedicato il presente volume, la cui realizzazione è stata resa possibile da una serie di persone che, con aiuti, consigli e suggerimenti, hanno colmato lacune, riempito vuoti e rettificato imprecisioni. Un ringraziamento va dunque a Tommaso Alessandroni, Stefano Basset, Marco Battarra, Claudio Berrino, Claudio Bonci, Alessio Borraccino, Giorgio Calcara, Giovanni Caloggero, Daniele Candellieri, Giovanni Canonico, Horia Corneliu Cicortaş, Enzo Cipriano, Vito De Meo, Davide Del Giudice, Alessandro Ferrari, Lidia Ferrua, Fabrizio Giorgio, Rainaldo Graziani, Andrea Lombardi, Alberto Lombardo, Romano Lupi, Riccardo Mandelli, Emanuele Mastrangelo, Beniamino Melasecchi, Pietro Missiaggia, Maurizio Murelli, Michele Olzi, Elisabetta Oggero, Alessandro Ortenzi, Arianna Pagani, Guido Andrea Pautasso, Enrico Petrucci, Ito Ruscigni, Gabriele Sabetta, Alberto Saibene, Camilla Sampietro, Christian Sciminterna, Luca Siniscalco, Francesca Sisti, Luca Valentini, Giulio Verrecchia, Andrea Virga, Curzio Vivarelli e Eduardo Zarelli.
Indispensabile è stata poi la rilettura del testo effettuata dagli amici Giuseppe Aguanno, Alessandro Colombo, Sandro Consolato, Emanuele La Rosa, Marco Rossi, Adriano Scianca, Giovanni Sessa e Stenio Solinas, che hanno contribuito ad arricchirlo, assegnandogli la forma definitiva.
L’apporto di Gianfranco de Turris è stato fondamentale, avendomi permesso di accedere all’Archivio della Fondazione J. Evola, da cui provengono molti degli inediti citati.
Infine, in genere è uso tra gli autori ringraziare l’editore, magari sperando che ciò possa propiziare la pubblicazione di altre due o tre opere, invariabilmente già pronte per essere spedite al malcapitato. Non è questo il caso – anche perché non è intenzione dello scrivente affermarsi come “autore di libri”. Se ringrazio Tommaso Piccone, direttore editoriale di Bietti, è perché è stato lui a spingermi a mettere nero su bianco le pagine che state per leggere, vincendo le mie resistenze a farlo. Se questo libro è stato scritto, è in parte merito suo.
Due ultimi ringraziamenti. Il primo a Riccardo, per una serata di quindici anni fa, vita più vita meno, quando mi spiegò come generare una sfera da una croce greca, mi insegnò a leggere un “archeometra” e mi fece per la prima volta il nome di Julius Evola. Il secondo, e particolare, a Simona, per la pazienza.
A. S.
Milano, 21 dicembre 2023